Ma davvero nel nome della ricerca scientifica e dello sviluppo, anzi del progresso, dobbiamo difendere e perfino benedire il cibo sintetico? Da giorni leggo sui giornali conformati un attacco continuo alla campagna promossa dal governo e in particolare dal ministero dell’agricoltura e sovranità alimentare, per difendere il cibo naturale, la carne che proviene dagli animali e la frutta e verdura che provengono dagli orti e dagli alberi. Magari se fosse stata una campagna degli ecologisti rosso-verdi sarebbero trattati con più indulgenza, come idealisti e nobili sognatori. Ma trattandosi di un governo di destra si prendono due piccioni con una fava. Da una parte difendono le multinazionali dell’International Food, col suo grande giro d’interessi, e dall’altra attaccano il governo Meloni.

Un attacco che partì già all’annuncio della formazione del governo, con la solita orchestrina di politici e stampa che ironizzavano sul ministero della sovranità alimentare. Ah, ah che ridere, i pomodori sovranisti e i cetrioli patriottici… Poi sono stati zittiti quando hanno appreso che di ministeri della sovranità alimentare ce ne sono anche in altri governi, a partire dalla vicina Francia. E la massima autorità a sinistra in tema di alimentazione, Carlo Petrini, fondatore dello slow food, dell’Arcigola e cofondatore del Pd (questa gli è venuta meno bene) ha sostenuto la sovranità alimentare. Le riserve, semmai, in questa come in altre intestazioni – come il merito nella pubblica istruzione – possono essere di altro tipo: che si riduca solo a uno slogan e che la sovranità si limiti solo al settore alimentare.

L’idea della sovranità alimentare e la campagna a favore dei nostri prodotti agricoli contro l’internazionale del cibo sintetico sono sostenuti dalla principale organizzazione sul territorio, la Coldiretti, col suo numero impressionante di iscritti, oltre un milione e mezzo. Sono battaglie per salvaguardare la nostra filiera agricola, tra coltivazione, allevamento e produzione nostrana; ma è anche una battaglia in difesa del buon cibo e della qualità alimentare, e dunque a vantaggio di tutti i cittadini. Infine, è una tutela di un nostro primato mondiale, insieme ai beni artistici e culturali: la sana alimentazione e la nostra varietà gastronomica.

In favore del cibo sintetico riconosco solo se fosse l’unica soluzione per sfamare le zone più povere del mondo. Se l’alternativa è patire la fame e la carestia, allora avrebbe un senso anche il cibo prodotto in laboratorio da mucche sintetiche o da piante artificiali. Ma laddove è possibile, a partire dal nostro mercato alimentare, è sacrosanto difendere la catena alimentare naturale e il cibo genuino (che poi può essere sofisticato e alterato anche in altro modo, non solo attraverso la sostituzione sintetica).

Ma in tema di cibo e di terra, emerge con sempre maggiore evidenza una contraddizione di fondo. Salvare la Terra è l’imperativo globale del nostro tempo; la Terra intesa come Pianeta, come globo in pericolo d’inquinamento e riscaldamento. Poi, però, in concreto, lasciamo che la grande industria sostituisca la terra e si sostituisca al mondo agricolo e ortofrutticolo. A me ricorda quel che dicevano Dostoevskij e Leopardi a proposito dell’umanità: chi ama l’umanità in generale di solito è indifferente se non ostile agli uomini reali e vicini. Amano l’umanità in astratto, la detestano in concreto, fino a sostituire gli uomini con creature artificiali, intelligenze artificiali, robot e postumani. Così sta succedendo con la terra, difesa in astratto, violata in concreto.

La sostituzione della terra avviene ogni volta che si preferisce il sintetico al naturale, il geneticamente modificato al genuino, il food delle multinazionali al cibo prodotto a chilometro zero. Si tratta invece di difendere la terra, attraverso il principio di prossimità; cioè a partire da ciò che è più vicino. Questo è il principio fondante della sovranità alimentare. Avendolo sostenuto nel corso di un forum della Coldiretti, l’ex ministro dell’agricoltura Maurizio Martina del Pd, mi ha detto che se questo è il significato della sovranità alimentare vi aderisce in pieno. Ripartire dalla prossimità, e non dalle multinazionali del food artificiale. E salvaguardare l’economia agricola e reale nostrana, a partire dal chilometro zero, il mondo contadino e la filiera conseguente. Il tema ancora una volta è difendere la Natura e il nostro habitat naturale. Come c’è la sostituzione dei popoli con i flussi migratori e la sostituzione delle differenze sessuali col genderfluid, così c’è la sostituzione dei prodotti della terra con quelli dell’industria. E’ un altro capitolo della guerra contro la natura.

Per rilanciare l’agricoltura, oltre i necessari atti concreti, c’è una scelta preliminare da compiere: tornare alla terra, amare e preservare la terra, a partire dalla propria. Le radici sono una risorsa primaria per la natura e l’identità dei popoli, va salvaguardato il nesso vitale tra radici e frutti. E dicendolo, mi sovviene il filosofo contadino Gustave Thibon, che amava il Cielo e coltivava la Terra e pure viceversa, coltivava il cielo e amava la terra; era credente e agricoltore, e trasmise il suo amore per la terra a una pensatrice eterea che viveva nei cieli del pensiero, Simone Weil, che ospitò nella sua fattoria e fece lavorare nei suoi campi.

Per salvaguardare i nostri beni culturali e naturali, i paesaggi e i territori, è necessario conservare la natura, la storia, la tradizione, le radici e i frutti. Il primato italiano nel mondo è nell’intreccio tra arte e natura, tra paesaggi e retaggi, tra cultura e cibo. Non si tratta di chiudersi in una sorta di autarchia alimentare, ma di dare una risposta adeguata e concreta alla globalizzazione e alla standardizzazione planetaria del cibo. E amare la Terra, la Terra tutta, ma a partire dalla propria.

 

Autore

Marcello Veneziani