Il primo giorno di maggio del 1300 avvennero scontri tra le brigate dei giovani Cerchi e Donati. Da tempo immemorabile il primo giorno, le “calende”, di maggio si celebra a Firenze, come in altre città, il Calendimaggio, vale a dire la festa per l’arrivo della primavera o, nelle parole del maggiore cronista dell’età di Dante, Dino Compagni, per «il rinovamento della primavera», che i Fiorentini di allora erano usi passare «con più balli nelle chiese e in sulle piazze». Il primo maggio 1300, però, il clima di letizia fu turbato profondamente.
Nel bel mezzo dei divertimenti uno scontro violentissimo tra le brigate dei giovani appartenenti alle consorterie facenti capo alle famiglie dei Cerchi e dei Donati precipitò la città nel dramma. È probabile, come scrive Compagni, che la brigata dei giovani Donati volesse approfittare della mobilitazione a cavallo, che in occasione del giorno di festa si poteva fare liberamente, per «scontrarsi nella brigata de’ Cerchi e contro a loro usare le mani e i ferri». Ma, per quanto cercato, lo scontro non fu un agguato, e si svolse tra la gente che era per strada a festeggiare. Un altro cronista, Marchionne di Coppo Stefani, scrive che mentre la «brigata di giovani de’ Cerchi armati» stava assistendo «a cavallo» ai balli che si tenevano sulla piazza di Santa Trinita, «sopravvenne quella brigata de’ Donati, e non veggendo i Cerchi che vennono loro di drieto, si spinsono loro addosso co’ cavalli per vedere e non per ingiuria, perocchè non sapeano che ivi fossono i Cerchi» e «veggendosi i Cerchi spignere altrimenti si rivolsono e feciono romore», e «l’una parte contra l’altra si cominciarono a sdegnare, e a pignere l’uno contro all’altro i cavagli». Fu una «grande zuffa e mislea, ov’ebbe più fedite», vi «furono de’ feriti di qua e di là; ma pure a uno de’ Cerchi, che si chiamava Ricovero, venne un colpo sulla pianella e discese giù e portonne il naso in parte; e fu tale la zuffa che quasi ogni uomo prese l’arme» annotano sempre i cronisti.
Lo scontro fu clamoroso e «la sera tutta la città fu per gelosia sotto l’arme». Le autorità del comune agirono rapidamente per cercare di prevenire le conseguenze che esso poteva avere sugli assetti politici della città. Nei giorni immediatamente successivi furono condannati alcuni dei partecipanti alle violenze: del deturpamento di Ricoverino de’ Cerchi, in particolare, fu accusato Chierico de’ Pazzi, ma in città corse voce, invece, che il feritore fosse stato Piero Spini. I Cerchi, invece, «non palesaron mai chi si fusse, aspettando farne gran vendetta». I lignaggi coinvolti avevano presente chiaramente i fatti, e avevano cominciato a fare i conti tra loro.
In virtù del clamore dell’evento e della simbolicità del giorno festivo, l’episodio del Calendimaggio è stato considerato dai cronisti e poi dagli storici come la scintilla che scatenò la lotta tra le fazioni dei Bianchi, che facevano capo ai Cerchi, e dei Neri, guidati dai Donati, che avrebbero dilaniato negli anni successivi la fragile concordia politica cittadina, come «cominciamento dello scandalo e partimento della nostra città di Firenze e di parte guelfa», perché «fu la distruzione della nostra città, perché crebbe molto odio tra i cittadini». Se è vero, infatti, come scrivono non senza esagerazione i cronisti, che da quel momento «si divise la città di Firenze, e fecero due parti per modo che non fu nè maschio nè femmina, nè grande nè piccolo, che diviso non fosse», e che lo spirito di disunione si insinuò «negli uomini grandi, mezani e piccolini» e contagiò persino il clero, la lotta tra le due fazioni aveva in realtà origini più remote.
Le sue radici risiedevano nell’inimicizia tra le due famiglie, che aveva già dato luogo negli anni precedenti a una serie di provocazioni, di scontri e ai primi morti. La faida era conclamata da tempo: da un lato, i Cerchi, inurbati dalla Valdisieve, erano cresciuti in ricchezza con la mercatura e la banca, e costituivano un lignaggio tra i più ricchi e potenti della città, che ostentava uno stile di vita cavalleresco, benché la loro reputazione rimanesse sempre, agli occhi dei cronisti contemporanei, quella di «uomini di basso stato venuti di piccolo tempo in grande stato e podere». Al contrario, i Donati erano uno dei lignaggi militari più antichi di Firenze, ma nell’età di Dante rappresentavano ormai una casata in declino, divisa in più rami e minata da conflitti intestini: «più antichi di sangue», dunque, «ma non sì ricchi» come i Cerchi, per rimanere all’opinione dei cronisti.
La faida assunse ramificazioni talmente estese da giocarsi ormai direttamente sul piano della contesa per il potere. L’avevano alimentata legami parentali, interessi economici, e vincoli di clientela: Piero Spini, per esempio, il probabile feritore di Ricoverino de’ Cerchi, è definito «masnadiere de’ Donati» dal Compagni. Il conflitto era ormai talmente avanzato, che lo scontro del Calendimaggio non fece altro che renderlo irreversibile. Gli anni seguenti furono caratterizzati, in effetti, dal definitivo regolamento dei conti tra i guelfi bianchi e i guelfi neri, di cui fece le spese, tra gli altri, anche Dante Alighieri, costretto all’esilio perpetuo da Firenze.
Autore
Andrea Zorzi