“Hai in te Colui che cerchi fuori di te, il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta” diceva Bernardo di Chiaravalle. Il monachesimo è un antico fenomeno che non possiamo relazionare a una fede soltanto, esso è fiorito al fianco di tutte le religioni, per esprimere all’esterno la vera spiritualità interna dell’uomo. Già le religioni misteriche della Grecia precristiana avevano i loro monaci, persone che dedicavano tutto il loro tempo alle preghiere e alla devozione con un carattere salvifico, finalizzato a realizzare una realtà superiore.
Uomini monaci che desideravano tendere al superamento dell’uomo empirico per giungere alla Conoscenza suprema, all’identificazione con il Divino. Fu così per i culti orfici, i culti eleusini, i pitagorici, i neoplatonici, le comunità monastiche degli esseni dell’antico Egitto fino ai sufi dell’antica Persia. Spesso la storia del monachesimo ci ha mostrato un’antitesi con le gerarchie religiose, tanto da scegliere la strada dell’estraniamento da un mondo terreno per rifugiarsi in un idealismo spirituale, concentrato nella custodia del cuore e dei pensieri tramite l’orazione mentale. I monaci, gli anacoreti, gli eremiti come Antonio del Deserto e Arsenio il Grande, entrambi ritirati nel deserto egizio, nel luogo della prova, della tentazione e della precarietà, per abbandonarsi totalmente in Dio. Siamo davanti alla figura del monaco esicasta, colui che nella contemplazione della preghiera apre la porta del cuore per unirsi a Dio, colui al quale una voce dal cielo diceva: «Arsenio, fuggi, taci, rimani tranquillo». Se il Regno di Dio è nel cuore, noi dobbiamo averne la cura e la coscienza seguendo la via di Cristo. Agli uomini che desideravano conoscere le ispirazioni divine, era chiesto di abbandonare ogni attaccamento terreno, contemplando solo la luce dello spirito che non era un carisma riservato agli autori sacri, ma al modello di grazia da ricercare da parte di tutti i cristiani, coltivandola nella propria profonda umiltà, e avendo come modello di vita Gesù il Nazareno. Una sincera spiritualità, percepita nel silenzio, nella contemplazione e nella preghiera.
Tra la fine del iii e del iv secolo, con la crisi della divisione dell’Impero romano tra Occidente e Oriente, si evidenziò l’inizio vero e proprio del monachesimo, con la differenziazione tra l’ascetismo “singolo” dei primi secoli e il raggruppamento di eremiti, anche senza regole predefinite (come raccontato nell’Historia Monachorum del 395 d.C.). Nacquero i primi monasteri autonomi in sperdute località, piccoli villaggi costituiti da povere case e gente semplice che desiderava seguire le “regole morali” ispirate dall’insegnamento evangelico del Nuovo Testamento. La differenza con il monachesimo orientale fu l’introduzione dello studio delle scritture sacre, formando gruppi di uomini e donne, che, oltre al lavoro e alla preghiera, studiavano anche la lingua ebraica per potersi accostare alla comprensione della Bibbia. Ed ecco che la storia si rende a volte “lacunosa”, evidenziando la mancanza di alcune e più approfondite descrizioni, dei rapporti di influenza reciproca tra il monachesimo orientale e il monachesimo latino costituitesi in Palestina, nei luoghi di vita di Gesù che divennero Terra Santa per i primi pellegrini, per coloro che volevano risalire alla sorgente della fede. Con le invasioni barbariche la situazione in generale diventò precaria; città, villaggi e insediamenti monastici furono saccheggiati e distrutti. La luce arrivò con il seme messo da Benedetto da Norcia, un messaggio di rinnovamento per l’uomo, il quale composto di anima e corpo, si rivolge al cuore come intera persona e alla sua coscienza. Ancora una volta, nel monachesimo pre-benedettino sono presenti gli insegnamenti del monachesimo orientale dei Padri del deserto, la preghiera, il digiuno, e tanto lavoro. Aprendosi all’importanza e alla rivelazione dell’Alto Medioevo, venne a delinearsi la nascita dell’Europa, non come agglomerato geografico, ma come coesistenza di popoli che sentivano la necessità intrinseca dei sincretismi culturali del Tardoantico; fu una spinta decisiva per creare riforme in campo sociale, politico, culturale, ecclesiastico e monastico. Per questo motivo il lento ma progressivo diffondersi della Regola benedettina si instaurò in quasi tutti i monasteri europei. Nell’anno mille furono erette molte abbazie dai vari ordini monastici e congregazioni, tra i quali possiamo ricordare l’Ordine benedettino, camaldolese, cistercense, cluniacense, vallombrosano, olivetano, francescano, domenicano e molti altri. Ordini tutti votati all’obbedienza, al silenzio, alla povertà materiale in favore della luce spirituale che rappresentava l’universalità di una Chiesa a “volere di Dio”. Siamo di fronte alla figura di Bernardo di Chiaravalle, l’abate riservato, quasi timido, che percorse l’Europa intera per ristabilirvi la pace e l’unità, colui che con severità giudicò le chiese troppo adorne, a contorno di una moltitudine di poveri affamati. Ai suoi monaci cistercensi chiese meno funzioni liturgiche e maggiore lavoro manuale; “apostoli con la zappa” chiamò i suoi fratelli, coloro che misero ordine nell’agricoltura e nella politica europea.
Ma la parte oscura ha sempre temuto la luce, con la “crisi del movimento cenobitico” e la preoccupazione della povertà gli ordini monastici non vollero accettare lo scontro uomo contro uomo, anche se appartenente alla Chiesa cattolica, ritrovandosi nel mezzo del dissenso religioso che aveva sottili confini tra ortodossia ed eresia. Anni durante i quali la devozione cattolica sembrava più somigliare a una gerarchia dominante in cerca di potere per essere usato come moneta di scambio per commerci di “reliquie” e assoluzioni. Opulenza ostentata dalla Chiesa di Roma contro monaci sempre più spogli di ogni bene materiale. Senza dimenticare la “Militia Christi” domenicana. Furono i francescani a dimostrare come poteva essere combattuta l’eresia con le stesse armi che gli eretici avevano usato contro l’autorità della Chiesa di Roma, con lo stile di vita umilissimo, lontano da ogni tipo di lusso, santificando l’esistenza umana e i doni della natura. Si edificarono abbazie caratterizzate da elementi architettonici comuni, quali chiesa, biblioteca, chiostro, foresteria, dormitori e refettori; edifici comunitari a espressione di Dio, della natura, dell’arte e dell’operare dell’uomo nel mondo. Luoghi di energia, spazi da delimitare con la pietra millenaria e le sorgenti d’acqua, luoghi per accogliere il respiro dell’uomo in cerca di sé. I monaci quali custodi di un antico sapere conservato con cura da generazioni. E ancora una volta quell’influenza orientale della conoscenza architettonica e astronomica che influenzò le costruzioni di grandi strutture in pietra, con volte a cuspide e archi acuti, che hanno la capacità di veicolare verso l’alto in modo preciso e raffinato le energie cosmotelluriche, l’unione armonica della terra con il cielo, luoghi di culto ma al tempo stesso luoghi di armonia per chi desidera essere accolto. Solo nel momento che sarà compreso il messaggio del monachesimo quale via stretta per essere condotti alla vita, comprenderemo la necessità di allontanarsi da una realtà caotica e ingombrante che distacca l’uomo dal proprio sé che è custodito nel profondo del cuore. Solo con la comprensione di un linguaggio universale fatto di calma e silenzio dell’anima, di etica umanistica, potremo avvicinarci a quella concezione di continua ricerca della verità e lotta all’errore, quella continua esplorazione dell’interiorità di ogni persona, quel pensiero che ritroviamo così ben enunciato nelle Confessionidi sant’Agostino. Per capire è indispensabile credere, avere fede, ma per avere una fede salda bisogna a sua volta comprendere. Un equilibrio di ricerca continua tra ragione e fede, l’illuminazione della verità, l’atto di amore e di grazia che calma l’inquietudine umana. Siamo tutti propensi alla spiritualità monastica, siamo tutti peccatori e santi, nessuno privo di pensiero, ma tutti doverosamente chiamati a sorvegliare i propri pensieri. All’interno di ogni uomo vi è un discorso interiore con il quale “ragioniamo o sragioniamo”, per questo deve essere custodita la porta del cuore, quel luogo che lenisce un pensiero agitato, turbato, legato agli attaccamenti e alle preoccupazioni relegate nei pensieri; non è Aphateia, è la custodia dello spirito quel desiderio di essere monaci nel suo significato più profondo, nella memoria, nell’intelligenza e nella volontà.
Autore
Elena Tempestini