Cosa sono le microplastiche e la biomagnificazione? Il fenomeno delle microplastiche negli oceani è conosciuto oramai da decenni e, come per ogni cosa che non è immediatamente percepibile, la sua insidia non determina allarme sociale se non negli “addetti ai servizi”. Per ogni chilometro quadrato di oceano si stima la presenza di oltre sessantamila particelle di microplastica, particelle quest’ultime che determinano effetti negativi in base alle regioni geografiche nelle quali vanno ad interagire. Secondo l’autorevole Istituto Mario Negri “è inevitabile che, dopo un lento degrado, oltre ad avere effetti tossici sulla fauna, queste sostanze entrano anche nella catena alimentare”.
All’inquinamento da plastica perciò concorre a sommarsi, in maniera sensibile, anche quello da microplastiche. Quest’ultime sono particelle con dimensioni inferiori ai 5 mm più grandi solo alle nanoplastiche, frammenti di plastica con un diametro addirittura inferiore ai 100 nm. Queste particelle sono quindi più piccole delle cellule umane e visibili solo al microscopio elettronico. È fondamentale stare attenti a cosa si getta nelle acque domestiche o reflue perché come scritto su molti tombini di città europee… “da questo tombino inizia il mare”. Tutto ciò che si sversa arriva in mare, plastica compresa. L’azione dei raggi solari od il naturale ciclo delle maree provvederà poi a spezzettare ulteriormente le plastiche impropriamente presenti nei mari, andando a contaminare anche le specie ittiche presenti. Oltre il mercurio è possibile trovare anche la plastica all’interno del pescato. Questo bioaccumulo di plastiche genera il fenomeno più comunemente conosciuto come biomagnificazione. Il plancton si nutre impropriamente di microplastiche e queste verranno assimilate da tutta la catena alimentare… come dire… il pesce piccolo è magiato dal pesce grande e così via fino ad arrivare nel piatto sulla tavola di tutti noi. Vale veramente continuare a confezionare e costruire con la plastica tradizionale? Si è parlato di plastica ma la stessa problematica rimane purtroppo anche per il mercurio. L’industria ha smesso già da anni la commercializzazione dei termometri al mercurio in luogo di termometri più innovativi ed ecologici. Stesso problema dunque anche per il mercurio nel mare e conseguentemente per il consumatore finale del pescato: l’uomo.
Autore
Pier Francesco Cellai