Poco più di otto secoli fa, nel corso della quinta crociata, San Francesco d’Assisi incontrò il Sultano d’Egitto Malik al-Kāmil. Che cosa resta oggi di quel famoso evento? Il 2019 fu un anno di festeggiamenti per l’ordine francescano e la Chiesa cattolica. Erano infatti passati 800 anni da quel 1219, in cui, in piena crociata, in Egitto, un semplice frate di Assisi decise di oltrepassare la frontiera del campo crociato e incontrare il capo della fazione avversa, armato solo del suo saio e della sua fede. È il celebre incontro tra San Francesco e il Sultano. Un incontro che, dopo otto secoli, non smette di interrogarci. Quale era lo spirito che ha accompagnato il Santo d’Assisi? E cosa dice oggi a noi quel famoso evento?

La storia del Patrono d’Italia ed amante della natura è quella, ordinaria, di un giovane nato da famiglia agiata, destinato a una vita di privilegi. Il suo sogno uguale a quello di molti suoi coetanei: diventare cavaliere. Un progetto ambizioso, che subisce una svolta inaspettata. Nel 1203, mentre cerca di raggiungere Lecce per imbarcarsi verso Gerusalemme e partecipare alla quarta crociata, bandita dal “Servo di Dio” Papa Innocenzo III, una rivelazione cambia la rotta della vita di Francesco. «Perché cerchi il servo in luogo del padrone?», gli chiede Dio in una visione notturna, secondo le parole del Santo. L’ordine è quello di tornare ad Assisi. Da quel momento in poi, racconta Tommaso da Celano, Francesco «mutò le armi mondane in quelle spirituali, ed in luogo della gloria militare ricevette una investitura divina». È con questo invito a seguire il padrone, invece del servo, che Francesco si trasforma, secondo i suoi confratelli, in autentico e spirituale Miles Christi, soldato di Cristo, cioè colui che ama il nemico, invece di ucciderlo. Si tratta di un’espressione attribuita, a partire da San Bernardo, ai crociati, ma che affonda le sue radici in San Paolo, con un’accezione tutta spirituale: «Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù» (2Tim 2,3). Non è Francesco a usarla per sé. Piuttosto i biografi, dopo il racconto della visione, iniziano ad attribuirla al Santo, recuperandone il senso originario. L’invito alla pace diventa allora un pensiero costante per il giovane. Al capitolo XIV della sua Regola non Bollata, scrive infatti che «quando i frati vanno per il mondo», in qualunque casa entrino, devono augurare la pace: «non resistano al malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano».

Qual è la posizione di Francesco sulle crociate e la guerra? Non lo sappiamo con certezza. Il Santo non si è mai espresso a riguardo in modo netto e chiaro. Proprio questo silenzio è stato interpretato, nel tempo, in modi diversi. Tra gli storici c’è chi ha criticato fortemente la visione di un Francesco “pacifista”, vista come un’elaborazione strumentale, un “mito” recente. Alcuni, come Michetti, hanno postulato un consenso-assenso, secondo cui la mancanza di scritti di Francesco sulla questione e il suo rispetto delle gerarchie indicherebbero una mancanza di critica, se non talvolta un’approvazione della crociata. Altri studiosi, come Massignon e Basetti-Sani, hanno invece visto nello spirito francescano i semi di un’opposizione netta. Ciò che sappiamo è che nel 1219, nel corso della quinta crociata, Francesco si imbarca per raggiungere la Terra Santa. Del viaggio dall’Italia si conosce poco. Le fonti, spesso di parte, presentano diverse lacune. L’unico scorcio ce lo offre Tommaso da Celano, secondo il quale è «l’ardore della carità» a muoverlo: «tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l’effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità». La destinazione finale è il centro dei combattimenti, Damietta, la città sul delta del Nilo considerata dai crociati la chiave per raggiungere il Cairo e andare al cuore dell’esercito musulmano, nell’impossibilità di conquistare Gerusalemme. Ad accompagnare il Santo c’è probabilmente fra’ Illuminato, chiamato così perché si dice miracolato e guarito dalla cecità dallo stesso Francesco. I biografi non raccontano molto sulla permanenza dei due frati nel campo di Damietta. Sicuramente incontrano diversi re cristiani e il legato apostolico, Pelagio Galvan. Pelagio è un uomo autoritario, in dissenso, all’interno del campo, con il re Giovanni di Gerusalemme ed altri capi della crociata. Motivo di divisione era la proposta fatta dal Sultano di porre fine alle ostilità in Egitto, cedendo Gerusalemme ai crociati. Il mite re Giovanni di Brienne vuole accettare l’accordo. Pelagio la pensa diversamente: vuole continuare la guerra per distruggere definitivamente l’armata musulmana il cui cuore, a suo parere, risiede proprio in Egitto. Il 29 agosto del 1219 l’esercito crociato subisce una clamorosa sconfitta: più di sei mila cristiani muoiono in battaglia. È tra questo momento di lutto e la vittoria finale dei musulmani, nel novembre dello stesso anno, che Francesco va dal Sultano. Nonostante la mancanza di dati certi da parte dei biografi e di testi arabi che descrivano l’incontro, le testimonianze esistenti che ne attestano la storicità sono diverse e provengono da fonti francescane e fonti crociate, come gli scritti del cardinale Jacques de Vitry, presente nel campo di Damietta all’epoca degli avvenimenti. Sull’attendibilità delle Fonti Francescane il dibattito è ancora aperto. Una fonte araba confermerebbe infine la presenza di un monaco cristiano presso la corte di al-Kāmil: è l’epigrafe di Fakhr ad-Din al-Fārisī, direttore spirituale del Sultano. Non possiamo sapere con certezza cosa si dissero San Francesco e Malik al-Kāmil. Con sicurezza, sappiamo solo che il Sultano d’Egitto accolse il poverello d’Assisi e lo rilasciò incolume, fatto di per sé strabiliante visto il periodo di forte tensione tra musulmani e cristiani. Inoltre, tutte le principali fonti dell’epoca sono concordi nel presentare lo spirito di coraggio che animava Francesco e la saggezza che caratterizzava il Sultano. Malik al-Kāmil, nipote di Saladino e Sultano di Egitto e Palestina, era un uomo di cultura, conosciuto per la sua giustizia e per il suo interesse verso le discussioni scientifiche e religiose. Dalle cronache cristiane sappiamo anche che non era un guerrafondaio: secondo le parole del cardinale Jacques de Vitry, la sua benevolenza «nei riguardi dei cristiani crociati divenne sempre più grande». Del contenuto dell’incontro parlano alcune fonti cristiane, tra cui quelle francescane e la Cronaca d’Ernoul, datata 1227-1229. In entrambe le versioni, Francesco riesce a parlare con il Sultano e ad annunciare la sua fede in Cristo, dichiarando a motivo della sua visita la salvezza di al-Kāmil e del suo popolo. A questo scenario, la Cronaca d’Ernoul aggiunge dei dettagli interessanti. Secondo questo testo, il frate di Assisi, interrogato dal Sultano, chiede di poter parlare con lui, anche alla presenza dei suoi dottori, per dimostrar la verità della fede cristiana e la falsità della loro. Il rifiuto dei dottori è categorico. Il racconto prosegue con il Sultano che invita i due frati a restare con lui: Francesco e Illuminato declinano la proposta, così come quella di prendere dell’oro e dell’argento. Se non possono rendere la sua anima e quella del suo popolo a Dio, nulla ha più valore. Vogliono solo tornare nel campo cristiano. La versione concorda con quella di Jacques de Vitry, soprattutto per quanto riguarda l’attraversata coraggiosa dei due frati e l’incontro rispettoso con il Sultano. Il cardinale racconta infatti che «[Francesco] partì per il campo del Sultano d’Egitto senza alcuna paura, forte dello scudo della fede», mentre quest’ultimo venne «convertito alla dolcezza dallo sguardo di quest’uomo di Dio». Al contrario dell’Ernoul però, il cardinale racconta che Francesco non solo si professò cristiano, ma ebbe modo di parlare al Sultano della sua fede in Cristo nel corso di diversi giorni e di essere ascoltato. Un racconto confermato da San Bonaventura, il quale al contempo, come l’Ernoul e riportando le parole di fra’ Illuminato, descrive un Sultano talmente colpito dal Santo da chiedergli di restare presso la sua corte. Anche in questa versione, Francesco rifiuta, affermando di essere disposto a rimanere solo nel caso di una conversione di al-Kāmil al cristianesimo.

Per convincerlo, gli propone la famosa ordalia del fuoco: «Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». Una prova che il Santo è disposto a fare anche da solo. Sappiamo però che questo tipo di ordalia, era stata abolita da papa Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV. Per questa ragione e visto il carattere umile del Santo, molti storici hanno rifiutato la veridicità di questa offerta. Il racconto di San Bonaventura prosegue con il Sultano che non accetta la prova, per timore, secondo fra’ Illuminato, di una sedizione popolare. Nuovamente appare l’offerta da parte di Malik al-Kāmil di doni preziosi che Francesco rifiuta, con grande ammirazione del Sultano. Questo allora gli propone di accettare quei doni per offrirli ai poveri e alle chiese, ma Illuminato racconta l’ulteriore rifiuto di Francesco, giustificato dal desiderio di rimanere libero dal denaro. Negli 800 anni trascorsi da quello storico e misterioso incontro, molti sono stati gli interrogativi sorti, le rappresentazioni e le interpretazioni di cui è stato fatto oggetto. Come ci ricorda John Tolan, autore dell’opera più esaustiva sulle rappresentazioni di quell’incontro, l’evento non ha smesso di nutrire l’immaginario letterario, storico e artistico. Contesto e preoccupazioni storiche hanno determinato la lettura che ne hanno fatto le singole epoche. Alcuni autori del XV secolo, per esempio, sottolineano la violenza del Sultano e del suo esercito. Il Santo è allora rappresentato, in diversi quadri, mentre legato viene portato violentemente davanti ad un Sultano poco incline ad ascoltarlo. Al contrario, col declino dell’impero ottomano e il depotenziamento delle armate musulmane, i filosofi illuministi del XVIII secolo, critici verso gli ordini religiosi, presentano Francesco come un fanatico pazzo davanti ad un Sultano saggio. Tra il XIX e il XX secolo, la visione è quella di un’azione civilizzatrice, che incarna a pieno lo spirito di bontà attribuito alle colonizzazioni dell’epoca. Conquista militare e evangelizzazione andavano, infatti, di pari passo. Solo tra il XX e il XXI secolo, in un’ottica di critica alle crociate, l’incontro assume dei colori differenti, diventando esempio e modello di uno spirito di dialogo. L’opera di Francesco diventa sempre di più quella di un uomo che ha cercato un’alternativa pacifica alle crociate. È un’interpretazione contestata, ma che ben si sposa con le posizioni del Santo sulla fraternità, l’amore al nemico e il rapporto con i musulmani. Come anticipato, Francesco non condanna apertamente la guerra e le crociate e la sua opinione a riguardo non può essere definita con certezza. Ma sappiamo quello che afferma sull’amore al nemico, che per imitatio Christi, diventa amico. Fortemente presente nella memoria del poverello di Assisi è infatti il comandamento di Cristo ad amare il nemico, tanto da scrivere, al capitolo 22 della regola che, sull’esempio di Cristo che «chiamò amico il suo traditore […], sono, dunque, nostri amici tutti coloro che ingiustamente ci infliggono tribolazioni e angustie, ignominie e ingiurie, dolori e sofferenze, martirio e morte, e li dobbiamo amare molto poiché, a motivo di ciò che essi ci infliggono, abbiamo la vita eterna». Una visione particolare, considerato che il sentire dell’epoca vede i musulmani come dei nemici «immondi», come li definì Papa Urbano II nel famoso discorso di Clermont. Al contrario, Francesco dedica loro un intero capitolo della sua Regola. Estremamente interessante è la versione contenuta nella Regola non bollata del 1221, scritta quindi appena due anni dopo l’incontro con il Sultano, che non lascia dubbi sulla visione francescana dell’evangelizzazione. Francesco comanda ai frati di andare «come agnelli in mezzo ai lupi», laddove la pecora è simbolo dell’umiltà di Cristo. I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. I frati non devono quindi nascondere la propria fede. Tuttavia, la professione non ha lo scopo di creare ostilità, né di offendere l’altro. E se Francesco non parla apertamente di fraternità universale, l’umiltà rimane primaria caratteristica dell’ordine e il servizio agli altri una costante. Questi altri non sono più solo i cristiani, ma «ogni creatura umana» a cui i frati devono essere soggetti «per amore di Dio». Il primo compito è quello della testimonianza della vita, più importante delle parole, come ribadisce in diversi scritti: «E tutti i frati si guardino dal calunniare alcuno, e evitino le dispute di parole», scrive al capitolo XIX della stessa Regola. Le parole rischiano di essere sterili. Sono gli atti che permettono di aprire i cuori e manifestare l’amore di Cristo: «Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere». In un secondo momento può arrivare l’evangelizzazione vera e propria, ma solo «quando piace al Signore». Sono queste le indicazioni che hanno accompagnato l’ordine francescano in questi 800 anni, permettendogli di rimanere presente pacificamente in Terra Santa.

È in questa accezione che lo spirito di Assisi diventa un modello a cui la Chiesa può ispirarsi per improntare il cammino verso la pace. Proprio facendo riferimento a questo spirito, Papa Giovanni Paolo II, il 27 ottobre del 1986, ancora in clima di Guerra Fredda, si recò ad Assisi con i leader cristiani e delle religioni mondiali per pregare per la Pace. Ecco allora che l’approccio di Francesco, basato su rispetto dell’altro e testimonianza della vita, diventa una luce a cui guardare nelle relazioni interreligiose. Un approccio particolarmente presente nel Pontificato dell’attuale Papa Francesco, il quale ha fatto riferimento a quell’incontro e allo spirito d’Assisi in diverse occasioni. Non ultima, il suo viaggio ad Abu Dhabi: “Con animo riconoscente al Signore, nell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo”.

 

Autore

Viviana Schiavo