Con il termine mostruosità noi intendiamo una deviazione dell’aspetto generale di un organismo che, per una serie di anomalie, risulta grottesco se non addirittura terrificante. L’aspetto impressionante delle mostruosità si è imposto all’osservazione delle persone fin dai tempi più remoti della storia dell’umanità. Basta pensare alla mitologia greco-romana popolata dai più incredibili mostri dalle fattezze umane, come il Minotauro di Cnosso sconfitto da Teseo, o la Sfinge di Tebe sconfitta da Edipo. Nella mitologia mediorientale troviamo gli uomini-leone di Ninive della civiltà degli Assiri e anche nell’antico Egitto sono numerosissime le rappresentazioni di questi mostri assunti a divinità. Quindi la mostruosità è stata considerata nelle antiche civiltà come una delle tante espressioni del potere divino e perciò alcune volte è stata divinizzata. Inoltre si riteneva che i mostri umani e ferini e i fenomeni straordinari della natura, fossero creati dalla divinità per annunciare mali funesti, per espiare colpe, e per avvertire i popoli che qualche grande avvenimento si sarebbe di lì a poco manifestato. Dunque è per questo che il temine mostro divenne sinonimo di manifestazione, portento, prodigio.
Il Medioevo non fu da meno. Infatti il mostro e il prodigio sono per quest’epoca segni che precorrono e talvolta prefigurano gli eventi attraverso un significato nascosto: è per questo che sono oggetto di interpretazione se non addirittura di divinazione. In quest’epoca, dove l’eredità classica e mitologica si unisce fino a fondersi con la tradizione biblica ed escatologica del Cristianesimo, ritroviamo infinite manifestazioni della potenza divina. È proprio in questi secoli che i mostri e in modo particolare i mostri umani, coloro cioè che hanno avuto la sfortuna di nascere deformi, pongono molti problemi: primo fra tutti quello delle cause. Il Medioevo non ha mai affrontato questo problema in modo sistematico.
La credenza più diffusa attribuiva i parti mostruosi ad influenze demoniache. Ancora nel XVI secolo Ambroise Parè, barbiere-chirurgo militare della corte francese, sosteneva fermamente nel suo libro “Des monstres et prodiges” che le nascite mostruose fossero conseguenza di una possessione demoniaca.
Un fatto è sicuro: per citare il noto giornalista Stefano Sieni “la superstizione aveva di gran lunga la meglio sulla pietà” . A conferma di ciò, basta prendere in esame un brano delle “Croniche” di Matteo Villani, cronista fiorentino del XIV secolo, riguardante un parto mostruoso avvenuto nel 1348: “In questo anno, nel mese d’agosto, nacque in Prato uno fanciullo mostruoso, di maravigliosa figura, perocchè a uno capo e a uno collo furono partiti e stesi due imbusti umani con tutte le membra distinte e partite dal collo in giuso, senza niuna diminuzione che natura dia a corpo umano: e catuno busto fu colle membra e natura masculina. Ma l’uno corpo era maggiore che l’altro: e vivette questo corpo mostruoso e maraviglioso quindeci giorni, dando pronosticazione di loro futuri danni, come leggendo appresso si potrà trovare…”
Come abbiamo visto la nascita di figli deformi era considerata come annunciatrice della collera divina o, più in generale, come pronostico di grandi eventi e cambiamenti. A questo proposito è molto interessante vedere come Sebastian Brant, umanista alsaziano a cavallo fra XV e XVI secolo, attribuisca ad un parto mostruoso, verificatosi a Worms nel 1495, un significato ben preciso. In uno dei suoi Flugblätter, gli antenati dei moderni volantini, stampato in latino a Basilea nel 1495 (la stampa era stata inventata da Johann Gutenberg pochi decenni prima, nel 1457), tratta di un parto mostruoso verificatosi nello stesso anno a Worms: due bambini saldati l’uno all’altro per la fronte. Nel commentarlo Brant comincia con il ricordare numerosi prodigi della classicità, come erano soliti fare anche i cronisti precedenti a lui, e poi passa ai rebus monstra creata novis – ai mostri creati di recente. Al tempo di Ottone III venne alla luce un bambino bicefalo, con due tronchi, quattro mani e quando una metà mangiava o era sveglia, l’altra dormiva.
L’interpretazione per Brant era questa: è una chiara immagine del frazionamento dell’Impero tedesco: “[…] le sue azioni insegnano: Ottone, infatti, dividendo i beni dell’Impero tra i principi ha diviso i corpi: ha perduto l’Impero.” Ottone dunque, dividendo l’Impero tra i principi, ha separato ciò che doveva essere un unico corpo e così l’ha perduto. Sebastian Brant in contrasto con questo esempio cita quello di Massimiliano d’Asburgo, che convocò a Worms nel 1495 tutti i principi elettori dell’Impero per salvare la “testa” del medesimo. In questo modo ha ricostituito l’unità dell’Impero. Dio, per dare agli uomini un segno della sua approvazione, ha mandato proprio a Worms, la città in cui è stata firmata la pace, un mostro che simboleggia l’unità: “il bambino” dai due corpi saldati insieme alla fronte. Il singolare usato da Brant per riferirsi al bambino è sintomatico della sua idea: per lui c’era un bambino solo, visto che i due corpi dipendevano da una sola testa.
“Io penso che in questa testa vi siano un unico cervello e un solo intelletto e credo sinceramente che Dio intenda inaugurare il tempo in cui il regno sarà unificato e la spada spirituale e la spada temporale saranno ugualmente riunite sotto una testa sola, così come il regno romano e quello greco che sono separati da lungo tempo.”
Nel Medioevo si credeva che segni risalenti a molti secoli prima si riferissero ad un periodo di tempo molto lontano nel futuro. Infatti in un bassorilievo eseguito nel 1150 circa nell’antica abbazia di Saint-Sernin di Tolosa è illustrato uno dei tre segni escatologici che per San Gerolamo si sarebbero verificati ai tempi di Cesare: “A Tolosa due donne concepirono due femmine una delle quali mise al mondo un leone, l’altra un agnello.” L’interpretazione di questo avvenimento per il santo era questa: “[…]nel giorno del Giudizio il Signore apparirà come un leone terribile agli occhi dei reietti e come un agnello mansueto agli occhi dei giusti.”
Risulta chiaro che i parti mostruosi avevano sempre un preciso significato. Talvolta erano però inseriti nelle cronache per puro scopo aneddotico, come si vede da questo brano di Matteo Villani che si riferisce ad un parto avvenuto nel 1354: “In questo verno del detto anno nacque in Firenze nel popolo di San Pier Maggiore un fanciullo maschio figliolo d’uno dei maggiori popolani di quello popolo, ch’avea tutte le membra umane dal collo à piedi, e il viso suo non avea effige umana: la faccia era tutta piana senza bocca, e avea un foro per lo quale messo lo zezzolo della poppa traeva il latte, e poppava, e nella superficie della testa al diritto, sopra dove doveano essere gli occhi avea due fori: e’ vivette più giorni, e fu battezzato, e seppellito in San Pier Maggiore.”
Sempre per puro spirito aneddotico ritroviamo nelle sue “Croniche” la descrizione di un altro parto avvenuto nel 1357: “A dì 4 di febbraio anno detto nacque in Firenze al Poggio de’ Magnali una fanciulla portata sette mesi nel ventre della madre, la quale avea sei dita in ciascuna mano e in catuno piede, e i piedi rivolti in su verso le gambe, senza naso, e senza il labbro di sopra, e con quattro denti canini lunghi da ogni parte della bocca, due, uno di sopra e uno di sotto, il viso avea tutto piano, e gli occhi senza ciglia: vivette dalla domenica a vespro al lunedì seguente alla detta ora, e più sarebbe vissuta se avesse potuto prendere il latte.”
Durante il XIV secolo assistiamo, nelle cronache di numerosi autori, alla narrazione di nascite deformi non solo umane ma anche animali, riportate in modo eccellente da Poggio Bracciolini, umanista toscano del XIV-XV secolo, nel suo “Liber facetiarum”. Nella facezia numero 31 sotto il titolo “Un prodigio” leggiamo quanto di seguito: “Quest’anno la natura ha prodotto numerose mostruosità in diversi luoghi. Nella campagna di Senigallia, nel Piceno, una vacca ha partorito un drago di dimensioni straordinarie. Aveva la testa più grande di quella di un vitello, il collo lungo quanto un braccio, il corpo come quello di un cane, ma più sottile e più lungo. Quando, dopo averlo partorito, la vacca si voltò a guardarlo, ne fu terrorizzata: stava per fuggire con sonori muggiti, ma subito il drago si sollevò e, stringendole le zampe posteriori con la coda, avvicinò il muso alle mammelle e ne succhiò tutto il latte; poi, lasciata la vacca, fuggì nel bosco vicino. Le mammelle e quella parte delle zampe della vacca che era entrata in contatto con la coda del serpente rimasero poi a lungo annerite come per una scottatura. Questo è quanto hanno detto di aver visto i pastori (perché la vacca faceva parte di un armento), aggiungendo inoltre che la vacca partorì poi anche un vitello. Tutto questo l’ho saputo da una lettera che ho ricevuto da Ferrara.”
In questo caso è chiaro come tutta la mentalità medievale era profondamente influenzata dal retaggio classico e biblico, popolato di mostri di ogni genere, ed è chiaramente individuabile il forte ascendente che queste creature mostruose potevano avere sulla popolazione. Non tutti però si facevano incantare o intimorire da prodigi come questi fin qui riportati.
Giovanni Villani nella sua “Cronica” ci riferisce che in Firenze nel 1316 furono portati all’ospedale di Santa Maria della Scala, nel rione di Porta al Prato, due bambini, nati nel Valdarno, attaccati per il ventre, e aventi due teste, due corpi, quattro braccia, tre gambe e un solo sesso maschile. Furono battezzati Pietro e Paolo e vissero solo venti giorni. Questo straordinario evento fu immortalato con una scultura e ricordato con una lapide in distici elegiaci latini. Francesco Petrarca narrò di aver visto questa raffigurazione scultorea del parto mostruoso, considerandolo semplicemente come un fatto anomalo della natura, senza attribuirlo a forze superiori.
Ma quali erano queste forze superiori alle quali venivano associati questi scherzi della natura?
Nel XVI secolo usciva a Parigi il libro di Ambroise Parè “Des monstres et prodiges”, nel quale l’autore, con una concezione ancora tipicamente medievale, elencava le tredici cause della nascita di queste sfortunate creature. Dopo una brevissima prefazione nella quale tenta di dare una definizione di mostro, si passa subito al primo capitolo: Capitolo primo: Delle Cause dei Mostri. Le cause dei mostri sono molteplici. La prima è la gloria di Dio. La seconda, la sua ira. La terza, l’eccessiva abbondanza di seme. La quarta, la sua insufficienza. La quinta, l’immaginazione. La sesta, la matrice troppo stretta o troppo piccola. La settima, la posizione scomposta della madre che, mentre era gravida, è rimasta seduta troppo a lungo con le cosce incrociate o premute contro il ventre. L’ottava, qualche caduta o qualche colpo inferto al ventre della madre durante la gravidanza. La nona, malattie ereditarie o fortuite. La decima, la putrefazione o la corruzione del seme. L’undicesima, la commistione o la mescolanza del seme. La dodicesima, le malefiche pratiche dell’ostetrica. La tredicesima, i Demoni o Diavoli.”
Per renderci conto chiaramente di come la convinzione – che queste cause fossero davvero all’origine dei mostri – fosse profondamente radicata nell’immaginario collettivo, dal Medioevo fino a tutta l’epoca moderna, possiamo prendere in esame un altro brano di Ambroise Parè, che si riferisce alla quinta causa, l’immaginazione: “Damasceno, scrittore autorevole, dichiara di aver visto una ragazza pelosa come un orso, che la madre aveva partorito così orribile e difforme perché durante il concepimento aveva contemplato con eccessiva intensità un’immagine di San Giovanni ricoperto da una pelle con tutto quanto il suo pelo, appesa ai piedi del letto. Per un motivo analogo a questo, Ippocrate salvò una principessa, che era stata accusata di adulterio per aver partorito un bambino nero come un moro mentre invece sia lei che il marito avevano la pelle bianca e che grazie all’opera di persuasione di Ippocrate venne assolta, fondandosi sul ritratto di un moro, rassomigliante al bambino, che era appeso sul suo letto.”
Nell’episodio di San Giovanni Damasceno ritroviamo un esempio di ipertricosi che è una sindrome caratterizzata da un esagerato sviluppo del sistema pilifero in rapporto ad alterazioni endocrine, che tutt’oggi è più diffusa di quanto si creda. Un altro esempio di questa malattia lo ritroviamo descritto due secoli prima da Matteo Villani nelle sue “Croniche”, in un brano che si riferisce al 1355: “Mentre che l’imperatore era a Pietrasanta, per grande maraviglia, e cosa nuova e strana, gli fu presentata una fanciulla femmina d’età di sette anni, tutta lanuta come una pecora, di lana rossa mal tinta, ed era piena per tutta la persona di quella lana insino all’estremità delle labbra e degli occhi.” Per secoli le persone affette da tale malattia furono molte volte identificate con i licantropi e quindi uccise alla prima occasione. Dunque per ritornare al brano del Paré, influenze del genere erano ritenute possibili ed erano accettate senza discussione. Specialmente se a riportare queste notizie erano personaggi illustri. Poggio Bracciolini, in una delle sue facezie, ce ne dà un ottimo esempio: sotto il titolo di “Una testimonianza del Maestro Ugo da Siena” leggiamo questo: “L’illustre Ugo da Siena, luminare fra i medici del nostro tempo, mi riferì di aver esaminato di persona a Ferrara anche un gatto con due teste.”
Certamente è plausibile che tali creature potessero esistere e che quindi le descrizioni dei cronisti siano veritiere e non enfatizzate. Oggi infatti tramite gli studi condotti dall’embriologia e dalla teratologia siamo a conoscenza che tali creature possono nascere a causa di una alterazione dei geni che solitamente avviene durante lo sviluppo del feto. Detto questo siamo liberi di dedurre che i cronisti abbiano descritto la realtà di queste nascite tale e quale come appariva ai loro occhi. Una profonda differenza dai numerosi resoconti di viaggi riportati dai viaggiatori medievali: essi infatti farcivano i loro racconti di mostri inventati quali gli Skiapodi, uomini con un’unica gamba e un enorme piede col quale si facevano ombra stando sdraiati, o gli Astomi che erano individui senza bocca che si nutrivano di odori, e tanti altri esseri assurdi che facevano parte del bagaglio culturale collettivo del Medioevo e che la gente credeva dovessero vivere al di là di un determinato punto. Ma sicuramente molto di questo immaginario collettivo del Medioevo e non solo, in quanto perdurò fino al XVIII secolo, anno in cui i parti mostruosi furono cominciati a studiare dal punto di vista scientifico dando origine alla moderna teratologia, traeva la sua origine non soltanto dalla tradizione classica o biblica, o da entrambe assimilatesi l’una con l’altra, ma anche dalle numerosissime credenze e superstizioni popolari radicate fortemente nel popolo.
È importante notare che tali credenze non dimoravano solo tra gli strati meno abbienti e quindi senza istruzione, ma anche negli strati più alti e acculturati: per secoli infatti giuristi, filosofi, teologi, medici e naturalisti credettero a tali nozioni. Per capire meglio basta dare uno sguardo alla causa numero sette o alla numero dodici del trattato del Parè: ci rendiamo conto che ben oltre il Medioevo, che per antonomasia è chiamato l’epoca delle superstizioni, queste stesse affondavano ancora molto in profondità le loro radici nel pensiero collettivo.
Dunque per spiegare queste nascite mostruose ci si appellava ad ogni tipo di causa possibile ed immaginabile.
Non da meno era considerata l’influenza demoniaca. Ma come faceva il Diavolo a generare tali creature?
Per secoli si è creduto che il Diavolo tramite la condensazione dell’aria o degli elementi, la momentanea animazione di cadaveri, o la messa in moto di agenti naturali che offrissero l’illusione di un corpo umano, potesse accoppiarsi con esseri umani. Il Demonio in questa operazione era androgino: poteva cioè trasformarsi e prendere le sembianze sia maschili che femminili.
Secondo la credenza più diffusa al Diavolo risultava più facile impersonare la parte femminile, mentre più difficile quella maschile perché privo di seme per la fecondazione. Per questo motivo prima si trasformava in succubo, cioè assumeva l’aspetto femminile, e accoppiandosi con un uomo riceveva il seme; poi assumeva il sembiante maschile, incubo, e accoppiandosi con una donna la fecondava con il seme in precedenza corrotto dalla sua stessa malvagità.
I figli di tali possessioni, per secoli, furono identificati dalla tradizione popolare con personaggi illustri quali Platone, il mago Merlino e Martin Lutero; gli altri, se avevano la “fortuna” di sopravvivere, si mescolavano a tutta quella folla di gnomi, satiri e fauni di cui erano e sono tuttora piene le leggende popolari. Molti ermafroditi, ritenuti il risultato di tali possessioni, furono bruciati vivi per molti secoli.
Vediamo di chiarire in modo più approfondito come questa credenza si era così fortemente radicata nella collettività.
Come ho scritto nell’introduzione, nell’area mediterranea fin dall’antichità furono adorate divinità umane e ferine dalle fattezze mostruose nelle quali era facilmente individuabile e riconoscibile la potenza demoniaca, che successivamente troverà nel Medioevo la sua massima espressione e caratterizzazione nella facoltà concessa al demonio di generare creature mostruose.
Dopo vari modelli di rappresentazione del demoniaco nelle culture più antiche e nella cultura classica greco-romana, vediamo successivamente nell’arte romanica un profondo accentuarsi degli elementi di ibridismo e semi-animalismo che avevano costantemente caratterizzato il diavolo nelle precedenti culture mediterranee.
Possiamo asserire che progressivamente nel corso dei secoli l’idea religiosa del demonio – cioè visto come incarnazione del male e dei vizi umani contrapposto al bene rappresentato da Dio – scomparve e prese piede, affermandosi sempre più fortemente nella società, l’idea puramente pagana e superstiziosa capace di confondere il simbolo con la realtà.
Conseguente a questa situazione vi fu l’intervento di molti personaggi storici che intervennero in prima persona con editti o bolle papali per cercare di frenare questo movimento sempre crescente di paganizzazione dei simboli e delle realtà della fede cristiana.
Nel 726 l’imperatore d’Oriente Leone III l’Isaurico (675-741) aveva fatto distruggere inutilmente tutte le immagini. Anche in Italia, in questo periodo, si radicò il costume di dipingere o scolpire scene dell’Antico e Nuovo Testamento colme di angeli, martiri e santi affiancati da esseri fantastici e successivamente da diavoli.
Successive al decreto di Leone III l’Isaurico furono emanate diverse bolle papali per tentare di cancellare questo nuovo culto superstizioso, o almeno per tentare di arginarlo. Ci provarono vari Papi come Giovanni XXII (1316-1334), Innocenzo VIII (1484-1492) e Alessandro VI (1492-1503), ma riuscirono solo ad estendere queste false credenze.
In seguito a questi tentativi di eliminare tali convinzioni, si avrà il Concilio di Trento (1545-1563) con il quale si giungerà ad una seria condanna di queste rappresentazioni.
Un effetto ancora più risolutivo si avrà con l’editto di Colbert e La Reynie del 1682, mentre le ultime superstizioni cadranno solamente nel XVIII secolo con l’avvento della ragione illuministica, con gli enciclopedisti e con Voltaire (1694-1778).
È ben comprensibile d’altronde che le credenze e le superstizioni radicate così profondamente nel popolo da secoli, riguardanti la tradizione mitologica classica confusa e assimilata con il Cristianesimo, potessero con molta facilità influenzare le opere dei maestri scalpellini e dei pittori medievali.
Nel lungo arco di tempo che si protrae dal XIV al XVI secolo gli artisti trassero materia per le loro visioni fantastiche e per le loro opere dalla Divina Commedia di Dante Alighieri (1265-1321). Nel Canto VI della suddetta opera troviamo la descrizione di Cerbero, cane infernale della mitologia classica: “Cerbero, fiera crudele e diversa,/con tre gole caninamente latra/sovra la gente che quivi è sommersa./Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,/e ‘l ventre largo, e unghiate le mani;/graffia li spirti, iscoia ed isquatra”. Sempre nella Commedia, nel Canto XIII, ritroviamo la descrizione delle Arpie, altre creature fantastiche della classicità: “Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,/che cacciar de le Strofade i Troiani/con tristo annunzio di futuro danno./Ali hanno late, e colli e visi umani,/piè con artigli, e pennuto ‘l gran ventre;/fanno lamenti in su li alberi strani.”
Quindi la presenza del demonio e delle sue creature era fisicamente accettata a tutti gli effetti e, soprattutto, in tutte le fasce della popolazione. Non era accettata solo dal popolo minuto, privo quasi ad ogni effetto di istruzione, ma in alcuni casi persino dalla Chiesa, basti pensare alle varie bolle papali, e dagli strati più alti della popolazione.
In questi secoli ci fu un’altra scienza che si impegnò per dare una spiegazione alle nascite mostruose: l’astrologia.
Per secoli il mistero della concezione, della formazione e della nascita dell’essere umano ha costituito un capitolo importantissimo degli studi della scienza astrologica che cercò di definirlo e chiarirlo attribuendogli una spiegazione pseudo-scientifica.
Si credeva infatti che nel processo di sviluppo e formazione dell’embrione e del feto umani, gli astri non solo erano i distributori e gli organizzatori della sua materia, ma in primo luogo ne indirizzavano gli attributi dello spirito.
Quindi il primum movens, includente nel suo movimento giornaliero le sfere inferiori, dà alla materia la virtù di esistere e muoversi. Il globo delle stelle fisse dà al feto il potere di distinguersi a seconda delle diverse combinazioni e di differenziarsi per le diverse influenze di questo globo. La sfera di Saturno dà all’anima la ragione e il discernimento, quella di Giove la generosità e altre passioni, mentre quella di Marte l’eccitabilità e la collera.
Il Sole influisce sulla sapienza e la memoria, Venere sulla sessualità e la Luna infine è la sorgente naturale di ogni virtù e fortifica ogni attributo dato all’uomo dalle altre sfere.
Per quel che riguarda la parte fisica ogni mese è dominato e regolato da un segno zodiacale che favorisce la formazione di particolari organi e tessuti.
Sappiamo che nel Medioevo l’astrologia era tenuta in gran considerazione. In molte opere, sia scritte che dipinte, ritroviamo un riferimento più o meno esplicito all’astrologia.
Anche nella Divina Commedia di Dante abbiamo continui accenni e riferimenti all’astrologia, che ci ricordano come tutta la mentalità medievale fosse in grado di mischiare, così sapientemente, il sacro con il profano.
Dunque, come accennato in precedenza, mentre per tutto il periodo dell’Alto Medioevo gli avvenimenti più strani e mirabolanti, tra cui la nascita delle mostruosità umane, erano accettati e non discussi ed entravano a far parte delle cronache storiche, civili o religiose senza il minimo accenno ad una analisi critica, vediamo come a partire dal XII secolo c’è un maggiore interesse allo studio della teratologia – anche se essa cominciò ufficialmente nel XVIII secolo – da parte di filosofi, teologi, letterati e studiosi in genere, che però il più delle volte si limitarono a riportare nei loro lavori solo la parte aneddotica, ricca dei soliti luoghi comuni, quasi sempre addotti dalle opere degli antichi.
Nel Rinascimento si affermò lo spirito di osservazione naturalistico che aveva caratterizzato il Medioevo, nonostante continuassero ad esistere i fanatismi religiosi e le ignoranze popolari.
Abbiamo visto come ancora nel XVI secolo Ambroise Parè sostenesse fermamente che le nascite mostruose derivavano dalla possessione demoniaca.
A testimonianza di questa credenza, che spingeva i cronisti a riportare i parti anomali, possiamo citare due parti mostruosi avvenuti nel XVI secolo a Firenze e annotati in diario manoscritto. Il primo avvenne il 29 giugno 1537: “Nacque una creatura umana con un capo solo, quattro mane e quattro piedi, tre orecchie e due occhi, e dal mezzo in su era appiccata insieme”.
Sempre lo stesso diarista annotò il parto mostruoso avvenuto 31 agosto 1562: era venuta al mondo “una creatura che non si conobbe s’era maschio o femmina, col capo tutto di montone colle corna ma non troppo grandi, senza braccia, ed il corpo tutto era un pezzo di carnaccia. Gli stinchi ed il pie’ erano d’uomo. Era di mesi cinque e senza battezzarsi si morì in poche ore”.
All’inizio del XVII secolo si cominciarono a stabilire i concetti sulla nascita e lo sviluppo dell’individuo e si formulò una teoria secondo la quale il peccato originale era contenuto in un uovo piccolissimo nell’utero materno, in attesa di essere innescato.
In seguito gli scienziati si ribellarono a questa teoria dicendo che i fenomeni inerenti le anomalie erano da attribuire a cause fisiche e naturali.
Nel XVIII secolo cominciò lo studio scientifico delle mostruosità, dando origine alla moderna teratologia – dal greco teratologhìa, trattazione di cose mostruose – che oggi è arrivata a scoprire le cause delle malformazioni del feto grazie alla genetica e allo studio del DNA.
Per tutto il Medioevo il concetto di mostruoso e demoniaco sono stati legati così fortemente che per rappresentare le forze del male non è più necessario servirsi di forme mostruose: i due concetti si sono compenetrati in modo tale da significare la stessa cosa.
Per molti secoli si è ritenuto vero il fatto che i mostri erano frutto del demonio e quindi c’è sempre stato il problema di dare loro una collocazione nella natura creata da Dio; cioè si è sempre cercato di dare una spiegazione al “disordine” che il mostro creava nella perfetta creazione divina.
Il Medioevo si è quindi sempre diviso tra questa esigenza e il postulato per cui la natura, in quanto opera di Dio, non può essere che perfetta e ordinata in regole che nulla e nessuno sono in grado di sconvolgere.
Aristotele (384-322 a.C.) riteneva che il mostro si integrasse in un ordine naturale superiore a quello da noi percepito.
San Agostino (354-430 d.C.), invece, credeva che il mostro facesse parte del disegno divino e , come elemento di diversità, contribuisse alla bellezza dell’universo creato da Dio.
Dunque, per il Medioevo, il mostro ha sempre rappresentato un’incognita molto forte che raramente è passata inosservata e la cui spiegazione il più delle volte non è stata semplice.
Abbiamo dunque visto come i mostri, nel Medioevo, fossero ritenuti annunciatori di grandi cambiamenti, creature del diavolo, figli del male e creature bizzarre dalle mille valenze.
Si è visto come erano trattati dalla popolazione che non abbandonava mai le proprie credenze e superstizioni, dalla Chiesa grande promotrice di pietà e indulgenza che non si fece mai scrupoli nell’estirpare queste fastidiose “presenze del male” dalla società.
Infine abbiamo visto anche la curiosità che suscitavano tali creature, tanto da esser degne di affiancare papi, re e priori nelle cronache storiche o religiose di molte città.
Perciò i mostri erano visti con un “misto di scrupolo e di morbosità”.
Non dobbiamo però stupirci di questi atteggiamenti se pensiamo che fino a cinquant’anni fa accadeva lo stesso: in molti circhi lavoravano come fenomeni da baraccone persone con gravi difformità che, per lo stupore e il ribrezzo che suscitavano in coloro che li osservavano, erano considerati alla stregua di qualche strano animale esotico dalle fattezze nuove e meravigliose.
Quindi, per concludere, non c’è da meravigliarsi se nel Medioevo, epoca dalle scarse conoscenze scientifiche e permeata da una religiosità molto forte, i mostri venivano considerati figli del demonio o, comunque, un qualcosa da cui guardarsi perché sconosciuto e impressionante. Dobbiamo invece rendere merito a questa epoca che, con i suoi pregiudizi, è riuscita a stimolare la ricerca delle cause effettive di queste nascite per confutare quelle credenze che per secoli hanno portato alla morte e all’emarginazione creature diverse dal resto del genere umano.
Autore
Jacopo Ragazzi