Sono passati quasi quarantacinque anni dalla scomparsa di Giorgio la Pira, il sindaco fiorentino che in molti desiderano sia “Beato”. E’ nelle parole del Presidente della Fondazione La Pira, Mario Primicerio, ex Sindaco di Firenze e suo stretto collaboratore, che si può comprendere il lungo iter della beatificazione. “Sarebbe bello, che il processo di beatificazione di Giorgio La Pira si concludesse fino a che è ancora viva la memoria”. “Riconoscerlo come Venerabile – ha proseguito Primicerio – significa indicarlo come esempio di come un cristiano può vivere la politica: per un cristiano la politica non è un optional, si può fare politica anche da un monastero di clausura se la preghiera è orientata al mondo. Così come si può non fare politica anche militando in un partito o in un sindacato, se si persegue solo un interesse di parte”.
Primicerio ha poi auspicato che a firmare il decreto di beatificazione sia firmato da Papa Francesco che “ha già manifestato apprezzamento per la figura di La Pira”. Ma noi della generazione dei cinquantenni, di quelli che oggi si trovano a percorrere il mezzo di quel sentiero irto e selvaggio che è il cammino della vita, dobbiamo ammettere che conosciamo molto poco della sua figura, se non con obsolete frasi a un mero e frettoloso giudizio che lo descrive come un bigotto con i calzini bianchi, che sorrideva a tutti, viveva nel monastero di San Marco e inseguiva utopie di pace, ma anche l’uomo che riuscì a salvare dalla chiusura la fabbrica di eccellenza della città, “La Pignone” con i suoi 1700 operai, ma ancora l’uomo che era grande amico di Enrico Mattei, che credeva con lui in un sogno di dignità e sovranità per il Paese Italia, ma anche colui che un giornò partì da Firenze per andare ad incontrare Hồ Chí Minh in Vietnam per riuscire a mettere la parola fine a una guerra cruenta combattuta contro gli Stati Uniti di America.
Volendo approfondire la sua figura, ho la fortuna di collaborare e poter ascoltare chi lo ha conosciuto molto bene, una persona che è stata attivamente al fianco di La Pira negli anni decisivi della politica fiorentina, e internazionale, Gianni Conti. Ecco uscire dal logos la forma della figura di un uomo che vede e sente la politica come quale mezzo di una salvezza cristiana, quella conoscenza che gli uomini non comprendono mai, e che è la sapienza dell’intuire ciò che ci circonda. La sua figura non solo come un profeta, un giurista che contribuisce alla Costituente, ma come un architetto che progetta le linee dello Stato, quello che include in un grande disegno tutte le persone, dalla povera gente al potente, e senza mai alcuna distinzione, colui che trasmette e condivide le fondamenta di tutte le religioni e filosofie del mondo, la via della conoscenza, del distacco e della disappropriazione, le vere libertà dell’uomo che servono per spezzare le catene dal dolore e dalla sofferenza, un percorso che lo porterà ad essere il rappresentante dei cittadini di Firenze sia come deputato e successivamente come sindaco. Ed ecco nascere quella figura di solida pietra vivente, uomo umile prima e politico della pace poi, uomo costruttore di ponti tra l’Est e l’Ovest, tra l’America e il Vietnam, fra comunisti e credenti, fra Israele e la Palestina. Un mondo che noi generazione di mezzo tra i giovani e i non più , non conosciamo, una dimensione concreta che lo vide realmente l’ unico interlocutore di Ho chi min in una possibile risoluzione della guerra del Vietnam con l’America, profetizzando con lungimiranza che il presidente Johnson dovrà presto «fare la pace, anche perché la vogliono i grandi finanzieri americani», l’America, il grande stato che dopo otto anni adottò quasi tutti i punti del trattato di pace auspicato da La Pira. Essendo io una curiosa ho cercato di fare domande quasi impossibili all’amico e mentore Gianni Conti, per comprendere la forza e lo strumento usato da La Pira per realizzare il suo ideale politico, domande per capire come abbia fatto un uomo, proveniente da uno sperduto paesino della Sicilia, trasferitosi in una città come Firenze, chiusa come un antico scrigno verso i “forestieri”, a divenire l’uomo della lungimiranza. Solo dopo aver ascoltato l’entusiasmo, l’umiltà e l’intelligenza che lo ha contraddistinto e che ha lasciato in eredità ai suoi collaboratori, comprendo che il primo vero strumento di La Pira, è se stesso e il suo carisma. Ma come riuscire a scindere l’uomo della profezia Cristiana, con l’uomo politico partecipe al meccanismo della politica? Come conciliare il La Pira uomo umile e carismatico, con un partito potente quale la Democrazia Cristiana? Come può l’uomo umile che sottolinea di non aver mai avuto la tessera di partito, essere l’uomo che rappresenta nel mondo una politica di umanesimo. Alle mie domande mi viene spiegato che La Pira fu antesignano del concetto politico di dialogo, nelle sue parole sapeva unire alla grande spiritualità la sua altrettanta concretezza che non rimaneva circoscritta a livello territoriale e cittadino, ma sapeva di dover guardare oltre il proprio orticello, uno sguardo e una partecipazione a livello internazionale e mondiale, e che come nei cicli Vichiani, dovrebbe essere l’esempio da applicare come leva di forza allo stallo che sta vivendo la politica globale di oggi con le nefaste ripercussioni che vediamo nel quotidiano. Per citare una sua frase “Le stagioni non le fa il contadino; vengono, e lui le aiuta. Si orientano tutte verso l’estate, verso i giorni della maturazione. Così fa la storia. “ Ancora una volta comprendiamo che nulla è nuovo ma spesso nulla abbiamo compreso nei secoli, e che non è “brutta la politica”, è brutto scordarsi che abbiamo bisogno dell’impegno di ogni singolo individuo per la costruzione della società e di tutti i suoi ordinamenti, a cominciare da quello economico, e che un impegno di umanità non è un impegno che ci catapulta in un ordine religioso, ma ci accompagna in un sentiero di luce, Fortezza e salvezza che poi alla fine in ogni cuor nostro, di ogni generazione, passata, presente e a venire, è ciò che più intimamente desideriamo. Per poter comprendere, dobbiamo renderci uguali a ciò di cui vogliamo parlare, colui che niente vuole, niente sa e niente ha, e come ci ricorda Sant’Agostino, “esiste solo un tempo presente, il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa,noi sovente premeditiamo i nostri atti futuri, e che tale meditazione è presente, mentre non lo è ancora l’atto premeditato, poiché futuro. Solo quando l’avremo intrapreso, quando avremo incominciato ad attuare il premeditato, allora esisterà l’atto, poiché allora non sarà futuro, ma presente”.
Autore
Elena Tempestini