Parte Guelfa Dante AlighieriAlla fine del Duecento le due grandi istituzioni medievali, chiesa e impero, che dal tempo di Carlo Magno, per cinque secoli avevano dominato la storia europea, sono in piena decadenza. L’autorità del pontefice e dell’imperatore, indebolita da tre secoli di lotte per la supremazia in Europa, è ridotta a pura formalità. In Francia, Spagna, Inghilterra sono sorte tre monarchie unitarie; l’Italia e la Germania sono divise invece in un infinità di staterelli, ai quali inutilmente imperatore si sforza di imporre la sua autorità. Per l’Italia questo periodo è il periodo della graduale trasformazione dei comuni in signorie: un periodo politicamente molto confuso, caratterizzato da lotte continue fra una città e l’altra e fra un partito e l’altro di una stessa città per la conquista del potere. Eppure, nonostante queste incessanti lotte fratricide, l’Italia dimostra una virilità straordinaria.

In tutti i campi, dall’economia alla cultura e all’arte, l’Italia è decisamente avviata a diventare il paese più civile d’Europa. Tra i Comuni dell’Italia centrale, il più potente è Firenze, che ha esteso il suo dominio su gran parte della Toscana. Il potere è in mano alla borghesia, cioè ai ricchi mercanti e industriali, che sono riusciti a estromettere dal governo i nobili. La città però è divisa in due fazioni, i Bianchi e i Neri, che fanno capo, rispettivamente, alle due potenti famiglie dei Cerchi e dei Donati. Va detto che alla morte dell’imperatore Enrico V, nel 1125, si aprì in Germania un periodo di scontri per la successione all’impero. In tale contesto vennero a crearsi due schieramenti opposti, che presero il nome di Guelfi e di Ghibellini. Furono detti Ghibellini i sostenitori della casa di Svevia, Guelfi, invece, i sostenitori della casa di Baviera. Successivamente, negli anni dello scontro tra Federico Barbarossa e il papato, furono chiamati Ghibellini i sostenitori dell’imperatore e Guelfi i sostenitori del papa. Così dopo un decennio di predominio dei Bianchi i quali volevano l’autonomia di Firenze senza il controllo del Papa, nel 1301 i Neri, che ammettevano l’ingerenza del Papa, con l’aiuto del pontefice Bonifacio VIII, riescono ad avere il sopravvento e cacciano in esilio i capi della parte bianca. Tra questi vi è anche Dante Alighieri, il più grande poeta italiano.

Dante si può dire che nacque guelfo nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà fiorentina da sempre aderente alla Parte Guelfa. Poté quindi ricevere una raffinata educazione in gioventù; nonostante le non felici condizioni economiche della propria famiglia. Ben presto rimase orfano. Brillante negli studi, frequenta la scuola dei Francescani di Santa Croce e dei Domenicani di Santa Maria Novella, viene istruito nella grammatica, dialettica, retorica, conto, geometria, astronomia e musica. Si fa strada in lui la passione per le lettere. Il primo incontro col suo grande amore, Beatrice Portinari, ha luogo all’etá di nove anni. Quando la incontra nuovamente, dopo altri nove anni, ne resta talmente affascinato da dedicarle una poesia. Seguiranno altre liriche giovanili. Tuttavia sposa non lei, ma Gemma Donati, che gli dará quattro figli. Nel frattempo studia, con molte probabilitá, all’Universitá di Bologna. Nel 1290 Beatrice muore improvvisamente, ma il ricordo di lei è sempre vivo in Dante. Poco dopo la sua morte egli si dedica ad una raccolta di liriche d’amore rivolte a Beatrice, le quali si concluderanno nella “Vita Nuova”. Per trovare conforto dopo la morte di Beatrice si dedica anche alla filosofia, allo stesso tempo approfondisce la sua cultura poetica leggendo i poeti latini, soprattutto Virgilio, che considera il suo “maestro” e il suo “autore”, riscopre i grandi poeti provenzali e per finire si accosta alla poesia burlesca e realistica.

La cittá intanto è sempre più divisa soprattutto a causa degli intrighi di Papa Bonifacio VIII. Tutto questo porta Dante in missione a Roma per sottolineare l’opposizione al ruolo politico del Papa. In questo periodo si manifesta il conflitto fra bianchi e neri, conflitto interno alla categoria dei guelfi, e prendono forma le oscure manovre del papa per dominare la Toscana. Dante si adoperò per sventare i maneggi del papa e ristabilire l’ordine fra i cittadini, ma per le sue idee venne considerato più vicino ai bianchi, che reclamavano l’autonomia di Firenze, alla vittoria della parte nera fu quindi esiliato. Ben presto viene condannato a morte dai suoi avversari a Firenze. E’ costretto perció a fuggire, girovagando per l’Italia. In particolare si rifugia a Verona presso la famiglia degli Scala. Forse raggiunge anche la Provenza e Parigi. Dante è un diplomatico di tutto rispetto ed esprime il suo pensiero politico nel famoso trattato “De Monarchia”. Intorno al 1306 inizia a lavorare alla “Divina Commedia”, della quale, otto anni dopo, viene pubblicata la prima parte: “L’Inferno”. Nel 1320 circa completa la sua commedia con “Il Purgatorio” e “Il Paradiso”. Rientrando da una missione diplomatica contrae la malaria e muore il 14 settembre del 1321. A Ravenna, dove ha vissuto gli ultimi anni del suo esilio, gli viene data dignitosa sepoltura.

In Europa negli anni della vita di Dante, tra il 1265 ed il 1321, giunge ad un punto di svolta la contrapposizione fra Papato ed Impero. Nascono gli stati nazionali e, all’interno dei comuni italiani, tende ad affermarsi un assetto politico di tipo oligarchico, che vede al governo le ricche famiglie borghesi.

Alcuni fenomeni, caratteristici di questo periodo, sono ben individuabili:
· Prima del Mille inizia un incremento demografico che, proseguendo per tutto il corso del XIII secolo, provoca un aumento della domanda di prodotti alimentari e di manufatti. Nascono quindi nuove forme di contratto agrario e nuove tecniche di coltivazione e si determina lo sviluppo della industria manifatturiera, i cui prodotti vengono smistati da un commercio che estende le sue vie a territori sempre più vasti.
· Le città si ripopolano e le mura vengono via via allargate: quelle di Firenze, ad esempio, di origine romana, sono ampliate nel 1173 e poi nel 1284. All’interno dello spazio cittadino si intensificano sia la produzione artigianale che le attività bancarie. L’atmosfera piena di vita dei grandi centri non solo attrae gruppi di uomini dal contado, ma richiama anche la “piccola nobiltà”, che impiega le sue rendite in attività mercantili, piuttosto che nel mantenimento delle proprietà terriere. Viene sancita, così, l’influenza della città sul contado.
· Fa da sfondo allo sviluppo della civiltà comunale la lotta fra Impero e Papato, istituzioni di carattere universale, ma ambedue in profonda crisi. Bonifacio VIII, con la bolla “Unam Sanctam”, del 1302, tenta un’ultima affermazione della supremazia dell’autorità papale su quella imperiale. Nello stesso tempo la discesa in Italia di Enrico (Arrigo) VII (1310-1313) rappresenta l’estremo quanto inutile tentativo di riaffermare l’universalismo imperiale sulla crescente autonomia dei comuni.
· Si assiste successivamente all’affermarsi, nelle realtà comunali, del potere di singoli gruppi familiari emergenti e questo comporta la progressiva trasformazione in Signorie, governate da personalità che spesso godevano di un largo consenso e potevano quindi muoversi con notevole autonomia.

A Firenze gli eventi internazionali si mescolarono, nella vita politica e sociale fiorentina, ai nuovi contrasti fra la vecchia nobiltà cittadina e la nuova aristocrazia dei ricchi, organizzata nelle Corporazioni. Nel 1248 l’aristocrazia ghibellina aveva vinto i guelfi con l’appoggio di Federico II. Il potere ghibellino, tuttavia, dopo appena due anni venne abbattuto e solo nel 1260, con la battaglia di Montaperti potè tornare al governo di Firenze. In seguito, approfittando del momento di sbandamento dei Francesi a causa dei Vespri Siciliani, i magnati fiorentini imposero il governo delle cosiddette “arti maggiori”, espressione degli interessi delle classi nobiliari. Ad essi si oppose Giano della Bella, che, nel 1293 con gli Ordinamenti di Giustizia, escluse i nobili dalla vita politica. Nel febbraio del 1295 cadde Giano della Bella in disgrazia e gli Ordinamenti di Giustizia furono revocati. Tutti tornarono così ad avere libero accesso al governo, anche se i membri della nobiltà potevano venire eletti solo a condizione che si iscrivessero ad una delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri.

Clemente IV, per contrastare le pretese di Manfredi, figlio naturale di Federico II, sul regno di Sicilia, chiamò in Italia Carlo I d’Angiò e già dal 1263 lo incoronò solennemente re di Napoli. Durante la battaglia di Benevento del 26 Febbraio 1266, nello scontro con le truppe congiunte dello stato della Chiesa e di Carlo I d’Angiò col determinante apporto circa quattrocento cavalieri fiorentini di Parte Guelfa, perse la vita Manfredi, figlio naturale ma degno erede dello spirito e della politica del padre Federico II. Due anni dopo a Tagliacozzo le truppe francesi ebbero ragione dell’esercito tedesco di Corradino di Svevia. A seguito della sconfitta, Corradino fu catturato e, consegnato a Carlo I d’Angiò, venne decapitato sulla piazza del mercato a Napoli a soli 16 anni. In seguito a questi eventi si arenò il progetto di riportare il Sacro Romano Impero alla sua originaria dimensione europea, restituendogli la dignità di superiore potere temporale da affiancare al potere spirituale della Chiesa. Questo era stato il progetto del Barbarossa prima e del nipote Federico II poi. Da questo momento non si potè più parlare di Guelfi e Ghibellini: ormai l’Impero, che continuava ad esistere solo nominalmente, di fatto aveva ridotto il suo potere alla sola area germanica. L’antitesi tra sostenitori della Chiesa e sostenitori dell’Impero si ripropose, tuttavia, all’interno del sopravvissuto partito guelfo con le fazioni bianca e nera.

Nella vita di Dante e di Firenze la figura più nefasta appare dunque quella di papa Bonifacio VIII, il quale infatti sosteneva i tentativi dei Neri di prendere il controllo della città ed appoggiava apertamente Corso Donati, che gli era parso, in varie occasioni, disposto a seguire la sua politica. Il papa potè così far entrare in Firenze il principe francese Carlo di Valois, il tristemente noto “paciaro”, che il Villani, storico delle vicende fiorentine, ritrae con lapidaria freddezza, densa di sarcasmo e di disprezzo: “venne in Toscana per paciaro, e lasciò il paese in guerra; e andò in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace”. Dante, guelfo convinto, fu tradito da chi aveva difeso e quel malvagio gesto ancora grida vendetta.

 

Autore

Nicola Biagi

 

parte guelfa definitivo per sfondi bianchi