Michelangelo Buonarroti è nato a Caprese in Casentino il 6 Marzo 1475 e morto a Roma nel 1564. Scultore, pittore, architetto e poeta, era nato da un padre discendente di una famiglia fiorentina di tradizione guelfa che, alla nascita di Michelangelo, era podestà di Chiusi e di Caprese. La madre era morta quando il figlio aveva appena 6 anni. Avviato agli studi sotto la guida dell’umanista Francesco da Urbino, Michelangelo aveva manifestato da subito tendenze artistiche. Incoraggiato da Francesco Granacci, era riuscito a convincere il padre e la famiglia e, nell’aprile 1488, era entrato come apprendista nella bottega dei pittori Domenico e David Ghirlandaio. Fin dal 1489 aveva però preferito frequentare i giardini medicei di San Marco, per studiare le antiche sculture e i cartoni moderni ed imparare le tecniche della scultura sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, allievo e collaboratore di Donatello.
Giorgio Vasari racconta che: “nacque dunque un figliulo sotto fatale e felice stella nel Casentino, di onesta e nobile donna, l’anno 1474 a Ludovico di Lionardo Buonarroti discesco, secondo che si dice, dalla nobilissima et antichissima famiglia de’ conti di Canossa”. Secoli di furore che non ti vedono solo lo scultore che libera le anime delle opere dalla materia della pietra. Tu sei un poeta. Ne sono testimonianza i tuoi versi dedicati a tuo padre “Nostri intensi dolori e nostri guai son come più o men ciascun gli sente: quant’in me posson, tu, Signior, tei sai”. Il Poeta dipinge, scriveva di te Ugo Foscolo. La scultura e la pittura ti concedevano, a notte inoltrata, di scrivere i tuoi versi: sonetti, madrigali, in ottave e terzine, che esprimono tutto il travaglio del tuo pensiero. L’idea poetica doveva uscire dalla massa informe, non solo martellando il marmo, ma scolpendo il verso; che è più resistente della pietra, perché soffoca, recide e infrange l’idea. Michelangelo, tu “dovevi” concedere un’arte che non fu mai data in sorte agli uomini, un’arte che è nel mezzo fra la poesia e la scultura, un’arte che desse risalto al pensiero e poeticamente lo raffigurasse, senza bisogno di curare stile e lingua, metro e versificazione. Sarai tu stesso, a confidare a pochi amici, che le tue rime, abitualmente le scrivi solo per te stesso. Dimentichi la folla, il mondo dei poeti, il mondo tutto. Michelangelo, per te la poesia è un intimo soliloquio che purtroppo in troppi non sono in grado di comprendere. Ma tu ben sapevi di essere poeta, e ne provavi, da artista vero, un grande compiacimento. A volte avresti voluto che un amico ti raddrizzasse e levigasse il verso che per te era ruvido e incolto; e ci fu anche un tempo che l’idea di dare alle stampe parte del tuo “Canzoniere” ti piaceva, ti attirava.
Michelangelo, ti sei ispirato al grande poeta, a colui che amavi, Dante. Nel Giudizio Universale si riflette un’idea centrale della Commedia, che non si limita all’Inferno dantesco. Al centro del dipinto, sotto al piede sinistro di Cristo, raffigurato San Bartolomeo seduto in modo scosciato, riconoscibile dal coltello del suo martirio e dalla pelle a lui scuoiata che regge. E nel cui volto sfigurato, Michelangelo è ben nota la presenza di un tuo autoritratto. Questa scena, anche se in modo opposto richiama il canto iniziale del Paradiso. Tu sei la “lucente Stella che abbaglia anche i ciechi”. Tu che scolpendo la Pietà con i versi danteschi: “Vergine madre figlia del tuo figlio” nel Canto XXXIII del Paradiso. Hai reso possibile che le parole di Dante entrassero nella preghiera liturgica ufficiale della Chiesa. Tu Michelangelo, di sangue guelfo, che hai biasimato i fiorentini per l’esilio del Sommo Poeta, hai ben sottolineato i luoghi della mariologia dantesca. Come se avessero delineato in modo talmente ineguagliabile il profilo di santità della Madre divina, tanto da pretendere di essere richiamati alla memoria, proprio per la loro ineguagliabile bellezza. Nel 1965, in occasione del VI centenario dantesco, Paolo VI con la lettera apostolica “Altissimi cantus” definirà Dante teologo, successivamente Giovanni Paolo II si servirà della fonte dantesca non solo nei documenti del magistero, ma anche nella sua produzione letteraria, soprattutto nel Trittico Romano del 2003. Karol Wojtyla in Trittico Romano entra nella visione di Michelangelo non solo scultore, architetto e pittore, ma poeta dell’anima. Prolusioni che finiscono inevitabilmente per riflettere sulla vastità dell’universo, sede e immagine di Dio e il Giudizio Universale dipinto nella Cappella Sistina è la testimonianza di questo immenso dialogo.
Autore
Elena Tempestini