È necessario chiarire che la digitalizzazione è in rotta di collisione con la transizione ecologica. La fabbricazione del materiale informatico ha il peso maggiore sulla natura in termini di energia, di acqua e di metalli. Ci apprestiamo a estrarre dalla crosta terrestre in una generazione più metalli che in tutta la storia dell’umanità. Circuiti stampati, schermi tattili, microcip e batterie esigono quantità favolose di oro, argento, rame, tungsteno, litio, e terre rare. L’industria mineraria è terribilmente inquinante e energivora.
A questo si aggiunge il contributo della digitalizzazione all’effetto serra a causa della continua crescita del consumo di elettricità per il suo funzionamento normale. Gli attrezzi informatici alla fine degli anni 2010 consumavano fra il 10 e il 15% dell’elettricità mondiale. Questo assorbimento raddoppia ogni 4 anni, il che potrebbe portare il digitale nel 2030 a consumare il 50% dell’elettricità del mondo, cioè quello che tutta l’umanità consumava nel 2008. Si capisce meglio se si pensa che ogni ora nel mondo si spediscono 10 miliardi di email e si fanno 140miliardi di ricerche su google, per le quali occorre la produzione oraria di 15 centrali nucleari. La digitalizzazione confisca e saccheggia la terra in tutto il pianeta.
Il fulcro strategico della transizione ecologica e del cambiamento di paradigma è la liberalizzazione e investimento pubblico nella rinascita dell’agricoltura artigianale per mercati locali e il trasferimento del potere di acquisto su alimenti di altissima qualità.
Autore
Giannozzo Pucci di Barsento