Il motore della politica non è la real politik, che si limita ad amministrare l’esistente, ma una visione che indica nuovi orizzonti. L’ispirazione visionaria più importante per la politica dei cattolici nel secondo dopoguerra è venuta da Giorgio La Pira verso la pace fra i popoli, la piena occupazione e la conversione del materialismo. Per La Pira il compito che il Creatore aveva dato alla donna e all’uomo era di fare insieme i giardinieri della terra sia nell’azione che nella contemplazione. In seguito alla cacciata dall’Eden se n’è aggiunto un altro, quello della costruzione storica della città terrena in armonia con la città celeste. Dove prendere le indicazioni per una simile armonia? Nella natura creata, tendendo alla complementarietà fra città e campagna.
Dopo la guerra si è usato il debito pubblico per tendere alla piena occupazione salariata, ma da alcuni decenni ci siamo accorti che questo tipo di politica economica produce lo sviluppo dei consumi e di una natura artificiale tecnologica, che è la continuazione in tempo di pace dell’economia di guerra con erosione di materie prime, aumento esponenziale di rifiuti, inquinamenti crescenti e danni alla creazione e agli esseri umani: tutto ciò in contrasto con l’armonia con la città celeste. La politica del debito pubblico può valere per sostenere l’occupazione nel passaggio da un genere di economia a un altro ma è la piena occupazione nelle attività primarie non inquinanti e in quelle artigianali non salariate il fondamento della stabilità economica di un paese in pace.
La distruzione di migliaia di piccole attività agricole, provocata da leggi pubblicizzate come modernizzatrici in realtà funzionali all’aumento della dipendenza alimentare dai monopoli globali è la prova dell’inquinamento delle democrazie occidentali per la facile vendibilità dei politici non più a servizio del bene comune. I cattolici sono stati convertiti allo sviluppo industriale dei consumi dalla diffusa pratica di benessere materiale e ben pochi si sono accorti della corruzione che si accompagnava a quel tipo di benessere, basato sul lavoro salariato, sul danaro, sulla promozione dell’autonomia individuale e della progressiva dipendenza nei beni essenziali dal commercio internazionale. Questa conversione al benessere, intesa come riscatto da povertà passate, ha ridotto la sensibilità del mondo cattolico nel cogliere le conseguenze dell’industria dei consumi sulla natura e sui popoli vicini alla terra. Altre confessioni cristiane hanno addirittura reso la società industriale del progresso e della tecnologia sinonimo di occidente cristiano trascurando ogni sacrificio dell’ambiente e dell’umanità sull’altare dalla religione dei consumi.
In questo contesto si comprende che l’enciclica “Laudato sì” sia stata accolta tiepidamente dal mondo cattolico convertito anche in agricoltura dall’impresa, dalla tecnologia industriale, dal supermercato globale. Solo dopo diversi anni si stanno moltiplicando spontaneamente decine di gruppi, parrocchiali e laici, che cercano di scoprire vie per tradurre in pratica le indicazioni di papa Francesco anche spinti dalla crescente evidenza della necessità di una radicale transizione ecologica. Finalmente questo movimento si sta chiedendo se sarebbe possibile realizzare un benessere più elevato, più comunitario, più rispettoso della natura e dei popoli. Un’economia che non distrugge ma rende feconda la casa comune deve per forza basarsi sui molti prodotti vivi della terra e dei suoi cicli, dove i rifiuti spariscono o sono cibo per altri esseri e fertilità per l’insieme, dove non c’è inquinamento e la coltivazione della terra è un’attività comunitaria e sovrana non dipendente dai costi dell’industria e delle sue fonti fossili di energia.
Si tratta di capovolgere l’economia: il compito sembra immane e non può cominciare dalla conversione di altri, men che meno da altri che sono al governo, deve cominciare da noi insieme ai nostri vicini prossimi, ai nostri amici, parenti, a cui possiamo parlare, con cui possiamo fare i nostri esperimenti, comunicare i nostri successi o difficoltà. In conseguenza cambierà l’humus sociale e culturale, svilupperemo in dettaglio programmi e volontà di governo che cambieranno anche le istituzioni. Come l’enciclica, l’ispirazione di tutto ciò non può essere egoistica da “si salvi chi può”. Mai come ora ci si salva insieme e non tanto per noi ma anche per altri popoli e le future generazioni. Del resto capovolgere la nostra economia e società sulla rinascita di un mondo vicino alla terra e con nuove forme di presenza umana anche di tipo artigianale, sembra così impossibile che solo per un imperativo etico, spirituale e di coscienza lo possiamo intraprendere.
Autore
Giannozzo Pucci di Barsento