Nella Firenze medievale si formò, attorno al 1340, la “Compagnia del glorioso messer Santo Luca Evangelista” legata al mutualismo confraternale e all’assistenza spirituale. Una compagnia protetta dalla Parte Guelfa e detta anche “de’ pittori” perché San Luca era tradizionalmente identificato con il loro patrono celeste. Nel corso del tempo accolse anche scultori, battilori, orefici, miniatori, intagliatori, sargiai, sellai, coreggiai e tanti altri artefici appartenenti alle corporazioni più diverse. Allora l’Arte dei Medici e degli Speziali immatricolava i pittori in quanto li assimilava agli speziali per la macinatura dei colori, mentre scultori e architetti figuravano tra i membri dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname.
Era un tempo in cui gli artisti venivano considerati manifattori e artigiani per il fatto che la pittura, la scultura e l’architettura erano ritenute arti meccaniche ‘basse’ o ‘vili’ implicanti il contatto con la materia, ed erano identificate con il lavoro servile frutto di operazioni manuali. Soltanto dal secolo XV fu riconosciuta un’affinità tra arte e poesia che stabilì uno stretto sodalizio tra gli artisti e gli umanisti. Questi ultimi garantirono il valore intellettuale degli artisti perché videro nell’opera d’arte un mezzo determinante per diffondere le idee che davano sostegno alla loro autorità culturale. La cooperazione tra gli artisti e gli umanisti produsse un’affrancazione dalla condizione di artigiano, con la conseguenza che parte delle esercitazioni pratiche impartite nella bottega tradizionale vennero sostituite da forme di insegnamento teorico volto a nuovi ideali e a una concezione scientifica dell’arte. Attorno alla metà del XVI, secolo la Compagnia di San Luca era «quasi del tutto dismessa». Dopo essere stata ospitata presso l’ospedale di Santa Maria Nuova e rimasta senza sede, dal 1535, aveva preso a pigione la ‘stanza degli Angeli’ nel complesso di Santa Maria Novella. Una situazione insoddisfacente a cui rimediò lo scultore servita fra Giovann’Agnolo Montorsoli che propose di accoglierla nel capitolo del convento della Santissima Annunziata dove aveva il proposito di porre la propria tomba assieme a quelle dei pittori, scultori e architetti che non avessero ricevuto degna sepoltura. L’avello fu utilizzato per la prima volta il 24 maggio 1562 con l’inumazione delle ceneri del Pontormo.
Un’occasione subito fatta propria da Giorgio Vasari che vide in quel sepolcro destinato a tutti gli artisti la possibilità di svincolarli dalle limitazioni imposte dagli ordinamenti delle rispettive Arti e di vedere riconosciuto loro un maggiore stato sociale. Per conseguire questo scopo il Vasari coinvolse i pittori Agnolo Bronzino, Pier Francesco Foschi e Michele Tosini, gli scultori Bartolomeo Ammannati e Vincenzo de’ Rossi oltre all’architetto Francesco da Sangallo e, il successivo 31 maggio, li convocò per proporre la fondazione di un’Accademia. Avuta la loro adesione, Vasari ne parlò a Cosimo I e facilmente convinse il duca di Firenze che aveva già avvertito quanto la cultura potesse costituire un fattore essenziale del suo potere. Infatti per lui, dopo avere concretamente favorito l’Accademia Fiorentina, far riconoscere il ruolo egemonico della lingua e dell’arte fiorentina in Italia avrebbe significato acquistare un peso culturale, e quindi politico, altrimenti impossibile nel contesto nazionale e internazionale.
Il Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici
A Cosimo I venne presentato, il 12 gennaio 1563, l’atto costitutivo della nuova Accademia e Compagnia dell’Arte del Disegno e, avuta l’approvazione e la ratifica, l’appena designato suo luogotenente Vincenzo Borghini tenne, il successivo 31 gennaio, la seduta inaugurale nel capitolo del monastero degli Angeli. Vi convennero 70 tra artisti e artigiani, vi furono eletti i primi 37 accademici e lo stesso Cosimo I e Michelangelo vennero riconosciuti capi della nuova istituzione. In base a questo primo ordinamento il governo dell’Accademia fu affidato a un luogotenente proposto dagli accademici e approvato dal principe, a tre consoli e a tre consiglieri assistiti da un provveditore, un camerlengo, un sindaco, uno scrivano, un cancelliere e due paciali. Due dei consoli dovevano appartenere all’Accademia, mentre il terzo si sarebbe dovuto eleggere tra gli iscritti alla Compagnia di San Luca, istituzione che l’Accademia aveva assorbito al suo interno.
I consoli, carica tipica anche della Parte Guelfa di Firenze, duravano in carica sei mesi assieme ai consiglieri e al camerlengo, dovevano avere non meno di trenta anni, i consiglieri non meno di ventiquattro anni, e, una volta scaduti, non potevano essere rieletti che dopo sei mesi. Il provveditore, il sindaco, lo scrivano e i paciali duravano in carica un anno, da una festa di San Luca all’altra, e potevano essere riconfermati soltanto per due volte. I consoli e i consiglieri venivano estratti a sorte. Per le altre nomine i consoli e i consiglieri proponevano tre nomi per l’ufficio del cancelliere che registrava gli atti e teneva il carteggio, e due nomi per gli altri uffici, che venivano poi votati dalla Compagnia. Le deliberazioni erano prese a maggioranza di due terzi dei voti e occorreva la presenza minima di sedici membri. Erano ammessi a far parte della Compagnia e dell’Accademia non solo gli scultori e i pittori fiorentini, ma anche tutti coloro che potevano dimostrare di essere artisti provetti sebbene di un’altra nazione. Ogni candidato al posto di accademico doveva presentare una sua opera che rimaneva proprietà dell’Accademia. Le tasse per gli iscritti erano di lire due l’anno per gli accademici e di lire una per il corpo della Compagnia.
Oltre a queste disposizioni l’Accademia era votata all’educazione dei giovani e a formare una sorta di moderna università dell’arte. Ogni anno, tra gli accademici si sarebbero dovuti eleggere tre maestri per la pittura, la scultura e l’architettura destinati a insegnare ai ragazzi più promettenti le ‘Arti del Disegno’. Inoltre le era fatto obbligo di sostenere economicamente gli allievi più meritevoli ma privi di mezzi, e di proporli a membri della Compagnia. A supporto dell’attività didattica doveva essere formata una raccolta di libri, disegni, modelli e di tutto quanto atteneva alle arti. Oltre agli insegnamenti impartiti nelle botteghe furono previste e organizzate lezioni di matematica, geometria, prospettiva e di architettura fondate sulla lettura dei testi di Euclide e di Vitruvio. Altri corsi vennero attivati, poco dopo, per il panneggio, l’anatomia e il nudo. Dal 1567, l’Accademia ebbe la propria sede e l’aula per le lezioni nell’oratorio degli Scala presso l’antico monastero di Cestello in borgo Pinti.
Capitoli et ordini dell’Academia et Compagnia dell’Arte del Disegno, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiani, 1563
Il primo impegno pubblico dell’Accademia fu quello delle solenni esequie di Michelangelo celebrate nella basilica di San Lorenzo il 14 luglio 1564. Giorgio Vasari, Agnolo Bronzino e Bartolomeo Ammannati coinvolsero nella messa a punto dell’apparato 29 giovani artisti, 12 scultori e 17 pittori che, come compenso per la loro prestazione gratuita, furono eletti tra gli accademici. L’evento ebbe un esito trionfalistico per la magnificenza dell’allestimento e per la perfetta regia della cerimonia ideata da Vincenzo Borghini con l’obiettivo di esaltare non solo la figura di Michelangelo ma anche di legittimare l’Accademia portata a occupare un posto di rilievo nella politica culturale del principato mediceo. Dopo le esequie di Michelangelo, nel 1565, Giorgio Vasari, Vincenzo Borghini e tutta l’Accademia vennero impegnati nell’apparato celebrativo delle nozze del principe Francesco de’ Medici con Giovanna, la sorella dell’imperatore Massimiliano II. Una seconda impresa di eccezionale risonanza, che fu fortemente voluta da Cosimo I per sottolineare il mito del primato di Firenze nel Rinascimento e che vide, ancora una volta, istituzionalizzata l’attività dell’Accademia riconoscendola d’interesse pubblico. Infatti, nel giro di pochi mesi, la corte fiorentina potè mettere in scena ogni tipo di spettacolo e offrire un banco di prova ai tanti giovani che vi collaborarono come ‘aiuti’ sotto la guida di Giorgio Vasari, Agnolo Bronzino e Michele Tosini.
L’Accademia, nei suoi primi anni, non assolse soltanto al governo della Compagnia ma ebbe anche il ruolo di soprintendenza artistica con l’esame di negozi di notevole peso culturale. Nel 1563, espresse il suo parere in merito alla collocazione delle sculture degli apostoli nella cattedrale di Firenze e, quattro anni più tardi, sul progetto pervenutole da Filippo II di Spagna sulla costruzione dell’Escuriale. Inoltre, grazie a un viaggio del Vasari a Venezia nel 1566, ebbe la soddisfazione di vedere i maggiori artisti veneti, tra cui Tiziano e Tintoretto, Andrea Palladio, Giuseppe Salviati, Danese Cattaneo e Giambattista Zelotti, chiedere di essere iscritti tra i suoi accademici. In questo modo la fama e il prestigio dell’Accademia furono conclamati tra gli artisti di ogni paese perché, dal momento della sua fondazione, aveva operato non soltanto a favore dell’insegnamento artistico, ma anche per l’avanzamento della condizione sociale degli artisti e della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. Quando Giorgio Vasari, nel 1568, licenziò la seconda edizione delle sue Vite de’ più eccellenti pittori e architettori non potè fare a meno di chiamare «nobilissime» le tre arti del disegno col riconoscere «onorate virtù» e «chiari spiriti ed onorati ingegni» ai loro «eccellenti artefici». Fu un modo, se non un bilancio più che positivo, per ricordare il suo determinante impegno nella fondazione dell’Accademia e per la promozione di un nuovo e più alto stato sociale degli artisti.
Autore
Luigi Zangheri
Presidente emerito dell’Accademia delle Arti del Disegno e Cavaliere Onorario di Parte Guelfa