Parte Guelfa Giano della BellaAll’interno del sistema venoso pulsante di strade e vicoli, in cui ogni momentanea ombra tremolante di debolezza e sconfitta contiene un’eternità raggiante di dignità e splendore, il labirinto leonino di Firenze duecentesca si vide sottomesso e stordito dal ruggito rauco di un regime riottoso: ivi, il diluvio di fiamme del feudo dispotico inonda il popolo con un’arida abrasività, come Federico di Antiochia, installato come Podestà della città dal suo padre, Imperatore Federico II – le tracce della cui tirannia tenebrosa sono bruciate nella pelle della storia nella testemonianza della profeta e mistica francescana, Umiliana de’Cerchi, con tutta la acutezza abbagliante del suo reliquiario d’argento dalle mani di Lorenzo Ghiberti a Santa Croce – affonda i suoi artigli nel terreno fertile della Toscana.

Una terra, quella toscana, frammentata e nelle profondità dell’etereo ed intramontabile spirito fiorentino di libertà, così avvolgendosi attorno alle radici esistenziali dell’identità civica e sradicandoli nell’espulsione dell’insurrezione Guelfa del 1248.  Tuttavia, come sempre, l’incendio irato del suolo forma una culla centripeta per i semi della nuova vita, e così dalle angoscianti arature del paesaggio civico da parte degli amministratori ghibellini, la famiglia degli Uberti, seguì l’effervescente esplosione di nuova vitalità politica ed economica nel ritorno della Parte Guelfa: qui, il potere purificatore del crogiolo civico esplode con una luminosità assordante – oppure, come è illustrato in splendore scintillante dall’illustre poeta e filosofo Guelfo, senza dimenticare anche maestro di Dante, Brunetto Latini, “Al tempo in cui Firenze fioriva e portava frutto, così era di tutta la Signora della Toscana; eppure a distanza una fazione fu esiliata in un’altra regione: quella dei Ghibellini”, come adorna le pagine del suo Tesoro.

Parte Guelfa Madonna della Misericordia Museo del Bigallo Bernardo Daddi 1342
Scuola di Bernardo Daddi, ‘Madonna della Misericordia’, 1342, Museo del Bigallo

Come l’ombra del terrore proiettata sulla città dalla Torre degli Uberti viene lavata via dal sole radioso dello splendore riconquistato nella forma della restaurazione Guelfa del 1250, così, le ombre serpentine del caos sociale furono bandite dalla Parte Guelfa con il sole dorato del fiorino aureo, il quale annida l’aquila rossa della Firenze rinata nel cuore dell’ecosistema dell’economia europea. Inoltre, mentre il sole bagna la terra, un seme leggero della libertà sociale fluttua con la grazia di una farfalla alla terra: il celebre Cione di Accori, figura dell’autorità Guelfa e dei Consigli del Primo Popolo del 1255, e zio del giovane protagonista Giano della Bella, in cui vediamo il nascente disegno di dovere e democrazia che, poi nelle orazioni di della Bella, sarebbe blasonato con un coro di colori attorno alle pareti del grande Palazzo del Popolo e l’arena degli spazi pubblici, le icone indelebili dell’identità civica fiorentina. Così, nel grande crogiolo della vita civica, il fervore fiammeggiante della perspicacia politica forma e trasforma la natura della cultura sociale – il calore del coraggio esemplificato del grande Giano della Bella, ed elogiato dal statista e cronista Leonardo Bruni, nella sua Istoria Fiorentina: “Veduto adunque questa declinazione e disordine della repubblica, uno uomo solo, in quel tempo di grande animo e di grande consiglio, fece impresa di rimediarvi, il quale si chiamava Giano della Bella, disceso di nota e famosa stirpe.” Ahimè, ogni elemento non può esistere senza gli altri? Come il flusso senza tempo della saggezza classica di Empedocle ed i quattro elementi si estende in una cascata clamorosa nella valle della studiosità fiorentina, così, allo stesso modo, le acque aride di vendetta e veleno scivolano fragorosamente in basso per spegnere il fuoco del crogiolo di coraggio: il maremoto ghibellino che seguì la battaglia di Montaperti nel 1260 sradicò e portò via oltre 100 torri e palazzi, e sradicò e portò via il fogliame della nuova fioritura di Firenze.

Eppure, non ci può essere fenice senza le ceneri. Come il fiore si allunga fuori e apre i suoi petali profumati per accogliere le gocce di luce solare, la rinascita della libertà è sempre la rinascita della bellezza: da un lato, il percorso precario della libertà è scaturito dalle scintille individuali, poiché la fioritura della bellezza civica è radicata in singoli mattoni e pietre; mentre, d’altra parte, è tutto il fuoco fervente del bene comune che sostiene la forma del progresso sociale, come è il  disegno dell’architetto che trasforma le sue pietre singole in icone intramontabili e torregianti di rinnovamento culturale – il rinnovamento della bellezza piantato e nutrito in quell tempo dal grande Arnolfo di Cambio, fiorente nel potere politico del Palazzo della Signoria, nel splendore spirituale della nuova cattedrale di Santa Maria del Fiore, e nella fortezza familiare del Palazzo Spini. Sventolata senza paura dall’ala rossa della Parte Guelfa seguendo la decisiva battaglia di Campaldino nel 1289, la più solida e robusta di queste fiamme tremolanti è il Paladino dei Popolari, il pienamente maturato e pienamente formato Giano della Bella; scintillando alla vita e raggiungendo il cielo dall’antica torre della sua famiglia, detto Boccadiforno nel popolo di San Martino del Vescovo, il calore coraggioso di della Bella abbraccia come braccia aperte e culla il crogiolo dell’identità civica: come è elucidato eruditamente dal suo compagno e collaboratore Guelfo, Dino Compagni, nella sua Cronica – ciò che documenta la dispersione di nuovi semi della vita sulle braci bruciate della sconfitta – “I nobili e grandi cittadini insuperbiti faceano molte ingiurie a’ popolani… Onde molti buoni cittadini popolani e mercatanti, tra’ quali fu un grande e potente cittadino (savio, valente e buono uomo, chiamato Giano della Bella, assai animoso e di buona stirpe, a cui dispiaceano queste ingiurie) se ne fe’ capo e guida”. Inoltre, dai suoi primi guizzi di virtù civica, come il coraggio valoroso della sua pubblica alleanza con Urbano IV del 1263 per liberare i fiorentini dalla tirannia ghibellina, la sua saggezza stende come una mano munifica per tenere saldo il crogiolo civico tra la brezza della calma e il vento del caos.

Proprio come le foglie di bronzo dell’autunno scendono a terra, alimentando e nutrendo la nuova esplosione di colori e profumi, così anche i frammenti di ingiustizia e disordine possono essere spazzati saggiamente nel bacino del crogiolo civico per il miracolo della metamorfosi verso la munificenza – qui, vediamo l’alchimia aquilina più abbagliante del grande Guelfo Giano della Bella: le briciole scure di belligeranza stagnante della classe nobile vengono versate nel grande crogiolo del cambiamento e, in un miracolo di metallurgia, sono trasformate nel 1293 dal virtuoso Gonfaloniere nell’oro raggiante deglii ‘Ordinamenti della Giustizia’; un momento magro di trasformazione contiene un’infinità di ingenuità. Ivi, il combustibile più caloroso per la progressiva trasformazione del Secondo Popolo sotto la guida di della Bella è l’afflusso della ‘Gente Nuova’ tra i Priori della città – il nutrimento della politica da parte di chi è nuovo al potere: le famiglie di mercanti come i Falconieri, i Giugni ed i Peruzzi. Allo stesso tempo, mentre le furiose fiamme del potere politico danzano delicatamente sotto il grande crogiolo, l’oro della nuova epoca comincia a fuoriuscire fuori e nelle strade, e si solidifica e si modella nella nuova fioritura della bellezza sotto l’acume artiginale degli Arti: ai tempi di Cimabue, Giotto e Arnolfo, il Guelfismo di della Bella, che impianta nel paesaggio politico le Arti Medie e le Arti Minori, sarebbe disseminato come una nuova fioritura della creatività culturale, e il cui fiore più fragrante sarebbe lo splendido Orsanmichele – il stame senza tempo delle Arti –  decorato nei petali scolpiti da Donatello, Ghiberti e Brunelleschi. Possiamo essere sorpresi, allora, che Giano della Bella sia elogiato euforicamente dal cronista Baldassare Bonaiuti come, “lo maggiore Cittadino di Firenze si per senno e per virtù?“.

Tuttavia, come sempre, la storia è un quadro generosamente disseminato di chiaroscuro – oppure il sacro ed il profano – e verso la luce sinfonica di Giano della Bella le languide e serpentine ombre cominciarono a strisciare come lucertole: ahimè, la miracolosa metallurgia della cultura civica operata da della Bella ha prodotto per lui i sottoprodotti tossici di rancore e rivincita, il più velenoso dei quali è il nobile Berto Frescobaldi, la cui furia è diligentemente documentata dal venerabile Guelfo, Dino Compagni: “Come i cani del popolo aveano tolti loro gli onori e gli ufici; e non osavano entrare in palagio: i loro piati non possono sollicitare: se battiamo uno nostro fante, siamo disfatti. E pertanto, signori, io consiglio che noi usciamo di questa servitù. Prendiam l’arme, e corriamo sulla piazza: uccidiamo amici e nimici, di popolo, quanti noi ne troviamo, sì che già mai noi né nostri figlioli non siamo da loro soggiogati”. Peraltro, e per il grande crogiuolo civico, il calore turbolento e tumultuoso del suo fuoco politico, che ha stato delicatamente metamorfosando il materiale del progresso culturale, comincia a deformare e rompere la sua forma scolpita – le linee di frattura cominciano a staccarsi come placche tettoniche, ed i Guelfi di Firenze si dividono nei Neri e Bianchi. Alla costernazione di Giano della Bella, l’ombra ominosa della Parte Nera, sotto il potere del pericoloso Corso Donati, comincia a velare e soffocare la fiamma raggiante che illumina l’intricato equilibrio della libertà civica. Poi, tragicamente, la nuvola nebbiosa di Donati, pietrificata sopra i fiorentini, inizia a stringere il pugno, mentre in un torrente di sangue molti dei Guelfi bianchi sono uccisi, ed alla fine, nel 1296, della Bella fugge dalla sua città, prima a Pistoia e poi in Francia.

Eppure, nonostante questo tumulto, il grande crogiolo civico di Giano della Bella è rimasto al cuore di Firenze, e lontano dal sudario silenzioso della sterilità; il Guelfismo che lo ha ispirato ed animato è rimasto profondamente radicato all’interno del labirinto leonino delle strade della città e all’interno dell’ethos fiorentino della libertà, del bene comune e del coraggio culturale. Cosa c’è di più, lo spirito di progresso collaborativo infiammato dalle arti è rimasto il terreno fertile nel ciclo eterno nell’innovazione artistica – mentre le foglie autunnali dei guelfi bianchi cadono graziosamente alla terra, così sono offerti come nutrimento per i semi che sarebbero germogliati nella sovrabbondanza culturale del Rinascimento – la sovrabbondanza che viene immortalata dal grande Vasari nella sua famosa dedica a Cosimo I del 1550: “E poiché questi maestri sono stati quasi tutti toscani e la maggior parte di questi fiorentini, di cui molti sono stati incitati e aiutati dai vostri antenati più illustri con ogni tipo di ricompensa e onore a mettersi al lavoro, si può dire che nel vostro stato anzi, nella vostra casa più benedetta le arti sono nate di nuovo, e che attraverso la generosità dei vostri antenati il mondo ha recuperato queste arti più belle, attraverso le quali è stato nobilitato e abbellito”.

 

Autore

Oliver Hickman

 parte guelfa definitivo per sfondi bianchi