L’adesione allo schieramento guelfo o ghibellino era determinato più che da condivisioni ideologiche, da motivi politici contingenti e, alla fine, rifletteva le posizioni contrapposte preesistenti all’interno dei ceti dirigenti, laici ed ecclesiastici, che coinvolgevano anche le classi popolari. Atavici antagonismi famigliari e personali, interessi e odii di parte, lealismo e fedeltà alle tradizioni ereditate, nonché vendette, faide e alleanze marcarono sempre più le fazioni rivali, in lotta per la conquista o la conservazione del dominio. In un primo tempo il papato rimase estraneo a queste controversie endemiche e viscerali.
Mentre sul piano religioso guelfi e ghibellini, l’uno rispetto all’altro, non mostrarono maggiore o minore senso di pietà. Ciò nonostante gli avversari del papato spesso simpatizzavano per i ghibellini e talvolta vennero assimilati agli eretici. La politica ecclesiastica non restò dunque immune dall’incoerenza per il contraddittorio atteggiamento dei governi municipali nei confronti della Chiesa. Parma, per esempio, sebbene ghibellina e poi guelfa, dal 1247, perseverò nella severa politica contro i privilegi del clero. Il declino del potere svevo in Italia e l’ascesa degli Angioini di Napoli contribuirono a definire il contenuto ideologico del ghibellinismo e del guelfismo italiani. Fu quest’ultimo a proporsi per primo come espressione del sostegno e dell’adesione alla politica egemonica della casa d’Angiò, finanziata dai banchieri fiorentini alleati col papato. Entrambi i termini diventarono etichette di parte, emancipandosi nel loro significato dall’antico motivo di contrasto fra sacerdotium e imperium, la lotta per le investiture laicali. Dopo l’esilio dei Fiorentini nemici degli Svevi, sconfitti dalle truppe di Manfredi di Sicilia nella battaglia di Montaperti, il 4 settembre 1260, e la discesa di Carlo I d’Angiò, vicario papale, le città della Toscana si collocarono negli opposti schieramenti e, di riflesso, le medesime posizioni furono assunte dalle numerose città dell’Italia centro-settentrionale a seconda delle differenti alleanze e in forza delle tradizioni che alimentavano le conflittualità locali ma la ghibellina Siena si fece guelfa dopo la sconfitta inflitta dai Fiorentini a Colle Val d’Elsa nel 1269. Dirsi guelfo significava dunque più essere sostenitore della casa d’Angiò che del Papa, mentre il ghibellinismo, dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento nel 1266 e la fine di Corradino a Tagliacozzo nel 1268, recise il legame con gli Svevi e diventò sinonimo di opposizione agli Angioini e alle loro mire espansionistiche. Perciò, accanto alla storia di Firenze, dei comuni toscani, umbri e lombardi, resta emblematica la vicenda dei vespri siciliani, iniziata nel 1282, che dette origine alla ribellione antiangioina e alla secessione della Sicilia dal Regno, il maggiore organismo italiano politico e militare, vassallo del papato.
Guelfi e Ghibellini nella battaglia di Benevento
L’ascesa degli Aragonesi sul trono di Palermo e la permanenza degli Angioini a Napoli radicalizzarono il persistente e ostile antagonismo del guelfismo e ghibellinismo italiani, diventandone il simbolo. Il papato evitò per lungo tempo di usare questa duplice denominazione, invalsa nell’uso comune, e sebbene spesso non avesse esitato a schierarsi, intervenne ripetutamente in favore della pace e affinché la Parte Guelfa e la Parte Ghibellina raggiungessero un rapporto di coesistenza specialmente all’interno delle comunità civiche. Tuttavia lo scontro fra le parti lasciò tracce profonde nella storia delle Chiesa. Del beato Jacopo da Varagine (1228-1298), arcivescovo di Genova, l’autore della Legenda aurea, sono noti i ripetuti interventi in favore della pacificazione fra le fazioni della città. Il medesimo spirito di riconciliazione fu diffuso da Santa Margherita da Cortona (1247-1297), spesso chiamata a riappacificare gli animi del cittadini. La diocesi di Cortona, smembrata da Arezzo, fu eretta nel 1325 da Giovanni XXII per premiare la fedeltà dei Cortonesi, mentre Guido Tarlati, vescovo della ghibellina Arezzo, fu scomunicato e deposto. Intensa fu l’opera dei predicatori, specialmente religiosi, per riportare la pace e l’ordine in seno alle comunità cittadine: un’attività che continuò ad intensificarsi anche durante l’età moderna. Il papato, in particolare, si preoccupò di riportare serenità e tranquillità fra le popolazioni di Bologna e della Romagna, frequentemente pervase dai contrasti fra guelfi e ghibellini. Folta è la lista dei legati papali incaricati di governare questi territori e di riportarli sotto il dominio papale. Non mancarono gli interventi diretti compiuti dai papi. Per esempio, Giulio II, passato da Forlì, riuscì ad imporre la pace fra la parte guelfa e quella ghibellina, anche se l’accordo raggiunto si rivelò alquanto effimero. D’altro canto, dal Duecento in poi, gli assetti amministrativi e gli equilibri politici interni alle città si erano stabilizzati intorno a un sistema bipolare che raccoglieva e cristallizzava in una composizione interclassista le forze esistenti.
Papa Clemente IV, insediamento al soglio pontificio a Perugia il 15 Febbraio 1265
Guy Le Gros Foulquois, nato in Linguadoca, a Saint-Gilles-du-Gard, da una buona famiglia della borghesia, in un anno imprecisato tra il 1190 ed il 1200, fu in gioventù soldato e combatté contro i Mori, si diede quindi agli studi e si laureò in diritto civile, divenendo successivamente un celebre avvocato e giurista. Nel 1239 sposò la nobile figlia di Simon de Malbois, che gli diede molti figli. La moglie morì intorno al 1250, quando erano ancora in vita soltanto due figlie femmine, Mabilie e Cécile. Rimasto vedovo, Guy decise di prendere gli Ordini: nel 1255 divenne sacerdote. Data la sua notorietà ebbe una fulminea carriera ecclesiastica e fu nominato vescovo di Puy nel 1257 ed arcivescovo di Narbona nel 1259. Negli stessi anni divenne anche fidato consigliere di re Luigi IX e di papa Urbano IV, che lo creò cardinale vescovo nel 1261 con titolo di Sabina. Legato pontificio in Inghilterra per una difficile mediazione tra Enrico III ed i suoi baroni e prelati, era in viaggio nel febbraio 1265 quando, morto Urbano IV, il Sacro Collegio, riunito a Perugia, lo elesse Papa, forse per assecondare Luigi IX o, più probabilmente, per affidare ad un uomo abile ed esperto la guida della Chiesa in un momento di grande difficoltà. Guy lasciò la Francia per recarsi a Roma e spostò sensibilmente verso il partito guelfo gli equilibri della politica ecclesiastica.
Giglio Guelfo e Giglio Ghibellino
Il Cardinale Latino Malabranca Orsini, vescovo domenicano, nel 1280 fu inviato a Firenze per tentare una pacificazione tra guelfi e ghibellini: si arrivò ad una sanatoria, ma essa fu alquanto fittizia perché poco dopo il conflitto riesplose. E ciò anche perché, a Firenze, era stato proprio un Papa, Clemente IV, all’indomani della vittoria dei guelfi sui ghibellini a Benevento del 26 Febbraio 1266, che aveva riconosciuto la Parte Guelfa di Firenze come magistratura donandole il proprio stemma e autorità di fons honorum. Sebbene le parti, a riconoscimento di se stesse, continuassero ad evocare le tendenze filopapali o filoimperiali per nobilitare le proprie origini e giustificare le posizioni assunte, guelfismo e ghibellinismo diventarono espressioni di conformismo politico e servirono da copertura ai dissidi interni dei comuni e alla competizione fra le fazioni. L’irriducibilità e l’inconciliabilità delle contrapposizioni politiche fra guelfismo e ghibellinismo tornarono in auge durante l’Ottocento e caratterizzarono il dibattito ideologico innervatosi in seno al Risorgimento, ma con contenuti del tutto differenti rispetto alle epoche precedenti. Il neoguelfismo fu un’espressione italiana del cattolicesimo liberale, di cui Vincenzo Gioberti era il maggiore teorico, mentre oppositore delle tesi giobertiane fu Giovanni Battista Niccolini, esponente fortemente anticlericale del neoghibellinismo. Nel XXI secolo, a Firenze, l’Ordo Partis Guelfae, ovvero il sodalizio dei cavalieri di Parte Guelfa, inizialmente denominato Societas Partis Ecclesiae, è un ordine religioso cavalleresco di fondazione pontificia, formalmente istituito da Papa Clemente IV nel 1266, soppresso con motuproprio granducale di Pietro Leopoldo I di Toscana del 22 Giugno 1769 e ricostituito in virtù dell’antico possesso di stato giuridico in Firenze, con la benedizione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e col consenso di Dario Nardella, Sindaco di Firenze, il quale ha approvato formalmente lo statuto il 26 Luglio 2015. L’Ordine era stato riedificato con Atto Pubblico il 25 Marzo 2015 e giuridicamente ristabilito come Arciconfraternita presso la storica sede di Palagio dei Capitani di Parte Guelfa in Piazza di Parte Guelfa a Firenze.
La Parte Guelfa si adopera oggi per la valorizzazione delle tradizioni popolari con speciale attenzione alle espressioni tradizionali cristiane, si impegna nella protezione e nella valorizzazione delle risorse naturali e paesaggistiche e si adopera per la custodia delle istituzioni ecclesiastiche. Gli appartenenti sono denominati Confratelli e Consorelle e si obbligano alla testimonianza costante delle virtù cristiane di carità e fraternità nei comportamenti e nelle opere come contributo alla formazione delle coscienze secondo l’insegnamento del Vangelo e promuovono con autentico spirito ecumenico il dialogo e la collaborazione tra tutte le Chiese cristiane sotto la guida e l’assistenza della Chiesa Cattolica. L’antico e inscindibile legame di fedeltà al Sommo Pontefice si manifesta attraverso la custodia degli enti ecclesiastici e la responsabilità verso tutte le componenti della Chiesa. Papa Francesco ha salutato durante l’Angelus del 2 Agosto 2015 il pellegrinaggio a cavallo da Firenze a Roma compiuto dall’Arciconfraternita di Parte Guelfa di Firenze e, durante il Convegno Ecclesiale Nazionale e la visita di papale a Firenze nell’autunno del 2015, la Parte Guelfa ha servito l’Arcidiocesi di Firenze con un folto gruppo di membri per l’accoglienza dei pellegrini. L’Arciconfraternita gode del privilegio di rappresentante il Comune di Firenze per gli eventi di cerimoniale a cavallo come Cavalleria della Repubblica Fiorentina e del privilegio di eseguire servizi d’onore durante udienze e ricevimenti dell’Arcidiocesi fiorentina nonché, ove richiesto, di svolgere attività di protezione dell’Arcivescovo di Firenze durante manifestazioni o viaggi. La Parte Guelfa ha come santo patrono San Ludovico d’Angiò, vescovo di Tolosa, nato a Brignoles in Provenza nel Febbraio 1274 e ivi morto il 19 Agosto 1297, figlio di Carlo II, Re di Napoli. Da ragazzo fu condotto prigioniero con i fratelli presso il Re d’Aragona ed ebbe occasione di conoscere i Francescani. Riacquistata la libertà, rinunciò al trono per prendere i voti dell’Ordo Fratrum Minorum ed essere ordinato sacerdote per poi venire inviato a reggere la Diocesi di Tolosa. Ludovico venne elevato agli onori degli altari nel 1318 da Papa Giovanni XXII. Le attività pastorali e di culto della Parte Guelfa sono svolte presso le Chiese di San Carlo e di Orsanmichele in Firenze sotto la guida di un assistente ecclesiastico denominato Cappellano Maggiore. Per antichissima tradizione il mantello dei cavalieri fiorentini di Parte Guelfa è sempre stato verde scuro mentre l’insegna, visibile in moltissimi edifici pubblici e religiosi fiorentini, è d’argento all’aquila di rosso brancante un drago verde e sormontata dal giglio fiorentino e venne benignamente concessa da Clemente IV ai consoli dei cavalieri della Parte Guelfa di Firenze come riconoscenza verso la cavalleria fiorentina per la determinante partecipazione a fianco di Carlo I d’Angiò nella vittoriosa Battaglia di Benevento del 1266.
Autore
Andrea Claudio Galluzzo