Parte Guelfa neoguelfismo bandiera Vincenzo Gioberti

L’impegno nella lotta partigiana da parte dei cattolici ha attirato negli anni l’interesse di storici e memorialisti grazie ai quali si sono documentate molte vicende, come quelle delle divisioni Fiamme Verdi operanti in Emilia e in Lombardia nelle quali, tra gli esponenti di spicco, ricordiamo Giuseppe Dossetti, Teresio Olivelli, Carlo Bianchi, Luigi Ercoli e don Domenico Orlandini, delle brigate Osoppo in Friuli e delle Brigate del Popolo. Inoltre anche dove non vi furono vere e proprie divisioni identificabili da una matrice cattolica, la partecipazione di questi alla Resistenza fu vasta e qualificata come è stato ampiamente documentato.

Poco o nulla però si sa su quello che successe negli anni del regime; a parte il “fuoriuscitismo” dei popolari Sturzo, Donati, Ferrari, Miglioli, Stragliati, Cocchi, Petrone e Russo, una vicenda davvero significativa ed esemplare fu quella del Movimento Guelfo d’Azione. Il Movimento Guelfo nacque nel 1928 da un’idea Piero Malvestiti e Gioacchino Malavasi, entrambi esponenti di spicco dell’Azione Cattolica e senza alcun legame con l’esperienza del partito popolare di Luigi Sturzo e con l’ispirazione risorgimentale che traeva origine dalle politiche e dagli scritti di Vincenzo Gioberti.

Parte Guelgfa battaglia di BeneventoGuelfi contro Ghibellini nel XIII secolo

L’idea su cui si basava questo movimento, che nel nome si rifaceva al guelfismo dell’età della democrazia comunale, era quella di un’opposizione al regime “da credenti, da cattolici praticanti e da liberi cittadini che facevano propri i principi di libertà e democrazia”, come ebbe modo di affermare Malavasi nel dopoguerra. Il movimento si affermò e si diffuse all’interno degli ambienti dell’Azione Cattolica, tra gli universitari e più in generale tra la base dei credenti, dove permanevano degli stati d’animo di insofferenza e di avversione al regime fascista per via dell’inconcigliabilità dei suoi dettami con il messaggio cristiano. Questi stati d’animo (che visti su un piano politico furono confusi e non lineari) ebbero il momento di maggior speranza nella primavera del 1931, quando si arrivò alla crisi tra Stato e Chiesa per via del conflitto tra Azione Cattolica e FUCI  guidata da Righetti e Montini) da una parte, e regime fascista dall’altra, il quale non tollerava più di dover dividere con altri il compito educativo, pretendendo per esso l’adesione dell’uomo nella sua totalità. Vi furono diversi atti di violenza perpetuata dai fascisti nei confronti dei giovani della FUCI, alcuni circoli di AC vennero sciolti e la polizia sequestrò moltissime carte all’interno delle sedi e delle presidenze delle due associazioni cattoliche. La crisi sfociò tuttavia in un ennesimo accordo tra regime e gerarchia nel settembre dello stesso anno, portando una profonda frustrazione, non solo sul piano psicologico, a tutta quest’area di credenti impegnati nell’associazionismo. Il movimento Guelfo fu l’unico gruppo che riuscì a proseguire nella propria azione senza cambiare la rotta anche dopo il 1931, sfidando, oltre che le ricerche sempre più pressanti della polizia politica, anche l’ostilità delle gerarchie ecclesiastiche che si apprestavano a gestire la nuova “conciliazione”. Il 23 maggio 1931 (nel pieno della crisi tra regime e cattolicesimo) andò in scena il maggior atto dimostrativo dei guelfi; in occasione delle celebrazioni per il 40° anniversario della Rerum Novarum, essi distribuirono in piazza San Pietro migliaia di manifestini per denunciare, in particolare ai molti cattolici provenienti da tutto il mondo, la situazione politica in Italia. Oltre alle accuse nei confronti del regime, il manifesto ricordava come si dovesse trovare la forza per abbattere la tirannide politica ed “il castello dove regnano la violenza, la menzogna e l’equivoco”, in modo da far sì che “l’idea sociale cristiana”, che veniva celebrata in quell’occasione con l’anniversario della Rerum Novarum, balzasse dalle rovine più “più vivida, più virile, più affascinante, caparra di giustizia e di armonia fra autorità e libertà”. “Chi nella lotta contro il fascismo, si difende, non è il ribelle, è l’Uomo italiano – proseguiva il manifesto – Il fascismo non concede mezzi legali di difesa.

Parte Guelfa partigiani guelfi cattolici in montagna alpini 1945
Partigiani Guelfi in montagna nel 1944

La tirannia è completa e perfetta, la reclusione intellettuale assoluta, l’appello alle supreme gerarchie dello stato illusorio, la debolezza della monarchia, ormai inguaribile. Crediamo non essere oggi illegittime la  volontà e l’azione che condurranno alla caduta del fascismo. E’ illogico ed assurdo che, nel nostro secolo, i cattolici debbano essere chiamati all’ubbidienza cieca di un qualsiasi potere in qualsiasi modo costituito, e nello stesso tempo alla più perfetta apatia, alla più stupida indifferenza circa le origini e gli scopi di questo potere, abdicando al chiaro diritto preesistente”. Il giorno seguente l’Osservatore Romano, per salvaguardare la linea politica del Vaticano, intervenne con un duro articolo con cui cercò di creare il vuoto attorno a quell’episodio e agli ignoti artefici del manifesto. Il movimento intanto continuava a crescere e si diffuse in particolare a Milano, Brescia, Bergamo, nel Veneto, a Torino e a Roma. L’anno seguente (1932), uscirono altri manifesti a firma guelfa. Come tutti i manifesti del movimento iniziavano con quello che era il loro motto: “Cristo Re e il Popolo – il Popolo e Cristo Re”. Il primo di questi manifesti era il documento programmatico dell’azione guelfa, il secondo era invece più di natura organizzativa e sovversiva, mentre il terzo, denotando una chiara sensibilità alle istanze delle organizzazioni cattoliche da dove essi provenivano, esprimeva la contrarietà ad un’azione di scontro aperto con il fascismo, optando invece per un’organizzata opera di “educazione”, ovvero quella che agli occhi del movimento era l’azione antifascista più urgente di ogni altra:“Contendere al fascismo il cuore del bimbo, la volontà del giovane, il pensiero dell’uomo bisogna dir loro che cosa è la libertà, farla amare e volere.” Intanto la polizia seguiva costantemente i guelfi attraverso i loro volantini ( in alcuni dei quali si sfidava apertamente l’OVRA a “mandare le sue spie altrove” poiché essi affermavano che con loro “l’avvertiamo in tempo, è inutile”), vennero diramate informative circa la loro esistenza a tutti i prefetti d’Italia, si cercarono collegamenti con i popolari fuoriusciti, senza trovare però nulla di concreto. La svolta arrivò nel 1933, quando i guelfi cercarono un contatto con le altre componenti del movimento antifascista, in particolare con Giustizia e Libertà. Malvesti, Malavasi e Rodolfi preso parte ad alcune riunioni che si svolsero nel circolo giellista milanese “Problemi del lavoro” fondato da Reginaldo Rigola, ed è proprio in questa occasione che l’OVRA, molto più a suo agio a pedinare ed infiltrarsi tra socialisti e comunisti che nella nuova realtà dei cattolici antifascisti, riuscì ad arrestare il vertice del movimento guelfo. Il 20 marzo 1933, in un’ampia azione di polizia che portò all’arresto di un centinaio di esponenti di gruppi antifascisti di vario orientamento, i guelfi Piero Malvestiti, Gioacchino Malavasi, Oliviero Ortodossi, Ettore Bassani e Armando Rodolfi vennero così catturati. Nessun altro all’interno del movimento venne arrestato tranne che don Ernesto Vercesi, il quale però fu presto libertato per intervento della curia milanese. Dopo nove mesi di istruttoria, dei trenta che furono deferiti al Tribunale Speciale, solo cinque vennero rinviati a giudizio, tutti guelfi. Questa diversità di trattamento fu dovuta da un lato al fatto che i guelfi, rifiutarono a differenza di altri, ogni tipo di sottomissione o dichiarazione di pentimento, dall’altra l’intenzione del regime di spegnere sul nascere la prima organizzazione antifascista cattolica, mostrando alla nazione di non guardare in faccia a nessuno in fatto di repressione. Il 30 gennaio 1934 Malavasi e Malvestiti vennerò così condannati dal Tribunale Speciale a cinque anni di carcere, Rodolfi a tre anni, Ortodossi a due, mentre Bassani fu scagionato. Naturalmente la condanna fece scalpore e se ne parlò a lungo sia in campo ecclesiastico, che nel panorama antifascita più tradizionale, poiché mai prima di allora dei cattolici erano stati condannati dal regime. Una volta scarcerati Malvestiti, Malavasi e Rodolfi, ripresero quasi immediatamente l’attività politica, nonostante le difficoltà che vivevano (soprattutto economiche, poiché all’uscita dal carcere non vennero più impiegati nei loro posti di lavoro). Il clima in ambito cattolico era cambiato, la svolta del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali e il vulnus al Concordato in fatto di matrimonio tra ebrei ed ariani, aveva decisamente amplificato le istanze del movimento guelfo ad ampi settori di quel mondo cattolico, anche gerarchico, rimasto fino a quel momento in sordina. Il gruppo di Malvestiti e Malavasi incominciò così una serie di incontri politici riprendendo i legami con gli amici di una volta, con gli esponenti del sindacalismo cattolico del primo dopoguerra (Achille Grandi), con ex esponenti del partito popolare (Alcide De Gasperi e Stefano Jacini) e con figure spirituali come don Primo Mazzolari, che con il loro fervore evangelico sapevano infondere speranza e coraggio. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia e i primi segni visibili di crisi del regime, si affermò la necessità di prepararsi ad un “dopo”. Fu così che venne redatto nei primi mesi del 1941 il “programma guelfo” costituito da dieci punti che contenevano gli elementi essenziali dell’interpretazione guelfa della tradizione cristiano-sociale (azionariato operaio, funzione dei sindacati riconosciuti per legge, un regionalismo quasi federativo, il parlamento europeo espressione dei popoli e dei governi). Nell’estate del 1942, quando era ormai evidente che il fascismo avrebbe portato il Paese verso la catastrofe, De Gasperi incontrò a Borgo Valsugana Pietro Malvestiti, Edoardo Clerici e l’industriale Enrico Falck (tutti appartenenti al movimento guelfo). L’idea era quella di creare un nuovo partito unificando le esperienze del vecchio Partito Popolare e del nuovo gruppo dei guelfi. Altri incontri clandestini ebbero luogo a Roma, con rappresentanti dei popolari. Nell’ottobre 1942, a Milano, in una riunione tenutasi in casa Falck, nasceva così la Democrazia Cristiana. Una commissione formata da esponeneti delle due aree, fu incaricata di redigere il programma del nuovo partito, ovvero quello che nei libri di storia è conosciuto come il “programma di Milano” della Democrazia cristiana, documento per molti aspetti debitore ai “dieci punti guelfi”, che venne reso noto all’indomani del 25 luglio 1943 insieme con una lunga presentazione nella quale il Malvestiti comunicava la confluenza del Movimento guelfo d’azione nel nuovo partito. Qui finisce l’esperienza del Movimento Guelfo d’Azione, i cui esponenti avranno ruoli di primaria importanza all’interno della Resistenza italiana prima e poi nelle istituzioni italiane ed europee del primo dopoguerra.

Parte Guelfa partigiani guelfi cattolici 1945
Partigiani Guelfi a Bologna nel 1945


La seconda guerra mondiale ed il Programma di Milano

Nell’estate del 1942, quando era ormai evidente che il fascismo avrebbe portato il Paese verso la catastrofe, si decideva di dar vita alla Democrazia Cristiana. De Gasperi incontrò a Borgo Valsugana Pietro Malvestiti, Edoardo Clerici e l’industriale Enrico Falck, esponenti del Movimento Guelfo sorto a Milano nel 1928. L’idea era quella di creare un nuovo partito unificando le esperienze del vecchio Partito Popolare e del nuovo gruppo dei guelfi. Altri incontri clandestini ebbero luogo a Roma, con rappresentanti dei popolari. Nell’ottobre 1942, a Milano, in una riunione tenutasi in casa Falck, nasceva la Democrazia Cristiana. Una commissione fu incaricata di redigere il programma del nuovo partito; ne facevano parte: Brusasca, Carcano, Casò, Clerici, Augusto De Gasperi, Falck, Jacini, Grandi, Gronchi, Malavasi, Malvestiti, Meda, Migliori, Nebuloni, Pullara, Ridolfi, Zanchetta. Il Programma di Milano, pubblicato il 25 luglio 1943, è un documento molto più sintetico delle Idee ricostruttive. Rispetto a quelle, sui temi del federalismo, rappresenta un passo avanti non trascurabile. Se in quelle mancava infatti l’obiettivo, chiaro, dell’unità europea, il nuovo documento, esordisce proprio col riconoscimento di tale necessità. Nel primo dei dodici punti del programma si parla infatti di una «Federazione degli Stati europei retti a sistema di libertà». A dare a questa posizione un’ulteriore spinta qualificante è anche il riconoscimento della cittadinanza europea, accanto a quella nazionale, possibile col raggiungimento della parità giuridica fra i cittadini di tutti gli Stati.

Il Programma di Milano

1) Nel quadro di una rinnovata società delle Nazioni – espressione della solidarietà di tutti i Popoli – Federazione degli Stati europei retti a sistema di libertà. Rappresentanza diretta dei Popoli – accanto a quella dei Governi – così nell’una come nell’altra. Disarmo generale e simultaneo, forze armate e reclutamento volontario, a esclusiva disposizione della comunità internazionale. Diritto volontario e cittadinanza europea accanto a quello di cittadinanza nazionale. Parità giuridica fra i cittadini di tutti gli Stati. Applicazione di tali principi all’economia nazionale ed internazionale.

2) Indipendenza e sovranità della Chiesa e dello Stato, in ordine ai loro fini rispettivi. Rispetto alla coscienza e alla professione religiosa dei singoli. Ispirazione cristiana dell’attività dello Stato e nella vita nazionale. Intangibilità sostanziale del Trattato del Laterano. Il Concordato mantenuto nella forma attuale fino a che le Parti non ritenessero di modificarlo concordemente.

3) Libertà, fondamento della legittimità e della vita di tutti gli Istituti civili e politici. Rafforzamento della famiglia, anche con attribuzione di carattere pubblico. Decentramento, autonomia e potenziamento dei Comuni e delle Regioni. Attribuzione alla Regione di funzioni normative, specie in materia amministrativa e finanziaria. Camera dei Deputati a suffragio universale con sistema proporzionale. Rappresentanza elettiva dei grandi interessi nazionali nel Senato. Governo parlamentare con garanzia di stabilità. Potere giudiziario indipendente.

4) Riconoscimento del diritto di proprietà, inteso come funzione sociale e coordinato coi prevalenti diritti del lavoro. Estensione delle assicurazioni sociali; semplificazione e decentramento della loro gestione. Sindacato di categoria autonomo ed obbligatorio. Libera organizzazione del lavoro e della produzione, con rappresentanza proporzionale in seno al Sindacato di categoria. Contributo sindacale obbligatorio, unico per entrambi i settori. Sciopero vietato nei servizi pubblici. Nelle altre categorie sciopero e serrata su delibera del Sindacato delle rispettive categorie, con votazione segreta degli iscritti dopo esaurimento di tutti i mezzi conciliativi. Tendenza all’arbitrato obbligatorio.

5) Rispetto e protezione di una sana iniziativa individuale nel campo della produzione e del lavoro. Immissione progressiva, con titolo giuridico, dei lavoratori nel processo produttivo delle imprese a tipo capitalistico, mediante compartecipazione agli utili, al capitale ed alla gestione. Smobilitazione delle attuali strutture corporativistiche loro trasformazione in organi superiori consultori della produzione e del lavoro. Intervento dei pubblici poteri limitato alla tutela del consumatore, al controllo delle grandi imprese di utilità sociale e a difesa contro la formazione di egemonie capitalistiche.

6) Difesa e incremento della piccola proprietà: l’accesso dei contadini alla proprietà, facilitato mediante il credito agrario ed il diritto di prelazione nell’acquisto di fondi. Incremento alla cooperazione agraria; avviamento alla gestione associata delle imprese agricole a tipo industriale. Compimento della riforma del latifondo e della bonifica integrale, salvo i diritti della giustizia e le esigenze delle economie.

7) Libertà di insegnamento: la funzione educativa della Scuola intesa come integrazione di quella della famiglia. Decentramento regionale della scuola di primo e di secondo grado. Università autonome. Libertà nell’insegnamento privato: esami di Stato, vigilanza dello Stato su tutti i rami dell’insegnamento, con il concorso dei corpi insegnanti e delle associazioni dei padri di famiglia. Adito gratuito dei migliori alla istruzione di primo grado: vaglio rigoroso delle capacità. Incremento dell’istruzione professionale. Restaurazione e riforma delle Accademie.

8) Semplificazione del sistema tributario, decentramento regionale. Imposte progressive sul patrimonio e sul reddito. Confisca dei profitti illeciti e profonda incisione sui sopraprofitti di guerra.

9) Politica di scambi diretta al superamento graduale dell’autarchia, all’inquadramento dell’economia italiana nell’ordine economico internazionale, alla difesa e valorizzazione dei prodotti tipici italiani.

10) Politica demografica ispirata ai principi della morale cristiana. Libertà regolata dell’emigrazione; tutela e valorizzazione del lavoro italiano all’estero.

11) Restaurazione della dignità dell’impiego pubblico mediante la selezione delle capacità, la liberazione dalle influenze politiche, l’adeguata retribuzione.

12) Riconoscimento del sacrificio compiuto dai Combattenti mediante provvedimenti a favore dei mutilati ed invalidi e delle famiglie dei caduti e l’attribuzione ai reduci di un titolo preferenziale alla proprietà del focolare domestico.

 

Parte Guelfa partigiani guelfi cattolici 1944

Cristo Re e il popolo. Il popolo e Cristo Re 

 

 

Autori

Pietro Scoppola, Francesco Traniello, Camillo Brezzi, Pietro Scoppola e Giuseppe Acoccella

 

 parte guelfa definitivo per sfondi bianchi